martedì 15 gennaio 2013
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La messa a punto in corso delle liste elettorali solleva più di una perplessità anche a Cesare Mirabelli: «Certo, qualche nome fa pensare. Ma non mi chieda quali», osserva il giurista ed ex presidente della Corte Costituzionale.Pensare a cosa?Che qualcuno percepisce ancora la politica e le istituzioni come un luogo di... salvataggio, in cui rifugiarsi in caso di situazioni penali molto rilevanti. Un rifugio assicurato.Frase forte, professore.Il fatto è che, in queste elezioni più di altre, davvero si gioca il ruolo dei partiti intesi come una classe nobile di decisori e non come delle oligarchie intente a preservare rendite o privilegi. E l’eventuale persistenza di certi nomi fa pensare che ci possono essere situazioni di nefandezza per conto terzi, che impongono a chi ne ha beneficiato di proteggere colui che ha commesso nefandezze. Quasi a uno scambio fra protezioni concesse e possibili coinvolgimenti.Sembra prevalere invece la tendenza "al minimo": non candidare i condannati in via definitiva.Dimenticandosi che esiste un articolo della Costituzione, il 54, che fa riferimento alla "disciplina e onore" cui si dovrebbero conformare tutti i cittadini con "funzioni pubbliche", quindi al di là del Parlamento. Un concetto, quello di onore, che comprende l’onorabilità stessa delle persone. Anche se, ovviamente, non va fatta di tutta l’erba un fascio: davanti a condannati non definitivi, o anche a indagati, bisogna poi distinguere. Ma senza indulgenze.Il Pdl affida i suoi "distinguo" a una commissione interna.Ogni strumento è benvenuto. Sarebbe bene, però, che fossero annunciati prima al corpo elettorale i criteri ai quali i partiti si attengono. E che fossero spiegate dopo le scelte fatte. Così come sarebbe bello se fosse il giudizio degli elettori a selezionare gli eletti. Ma questo implica un diverso sistema elettorale e, soprattutto, l’adozione di collegi molto ristretti, che consentano davvero al popolo di conoscere i loro rappresentanti.A infiammare gli animi contribuisce anche il processo Ruby. È da temere una sentenza a campagna elettorale in corso?Anche qui serve una qualche dose di equilibrio. Quindi direi: né stop al processo né corse. Nell’equilibrio delle cose, l’esigenza di giustizia impone che non ci siano tattiche dilatorie o corse che diano l’immagine di voler arrivare a una conclusione per il suo rilievo politico-elettorale. Su questo punto pm e avvocati possono pure scontrarsi, ma è ai giudici che spetta fissare una calendarizzazione seria delle udienze.Torniamo alle liste: l’incandidabilità per i soli condannati definitivi varata dal governo Monti si conferma un provvedimento minimo?Simbolico, direi. Acuito dalla considerazione che, troppo spesso, le sentenze definitive arrivano anche a 10 anni dai fatti. E mi lasci dire che resta questo il problema serio della giustizia italiana, il cui funzionamento è così carente - per non dire altro - che determina tempi per i quali siamo costantemente condannati dalla corte europea di Strasburgo.Cosa serve allora per migliorare la moralità della nostra classe dirigente?C’è poco da fare: serve prima di tutto un codice che sia inscritto nelle nostre coscienze. Quello che ha portato, nella vicina Germania, un ex ministro della Difesa a dimettersi solo per aver copiato parti della tesi di laurea. Serve una maturazione dell’opinione pubblica, che ancora scambia la furbizia con l’intelligenza. E una responsabilità forte ce l’avete voi della stampa, che dovreste insistere di più sulla funzione di denuncia di comportamenti non corretti.E misure concrete?Si potrebbe studiare una legge più stringente, estesa anche ai semplici indagati per taluni reati. Una legge da usare, poi, sempre con una elasticità di valutazione, per evitare che le indagini siano usate con un potere di condizionamento. Ci si potrebbe rifare all’istituto della "lite pendente", in base al quale un amministratore non può candidarsi in un ente con cui ha un contenzioso giuridico. Sarebbe anche un modo per cominciare ad affrontare un altro, grave male italiano: i continui conflitti d’interesse.
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