giovedì 28 aprile 2016
Roma, dal 2002 spesi 27 milioni: frequenza regolare 12%. La denuncia nel dossier "Ultimo banco" Mai nessuna valutazione dei risultati La radice dell’emarginazione sta nella politica di segregazione abitativa .
Minori rom, la scuola che fallisce
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Un’altro spreco di denaro pubblico per un’integrazione mai verificata nei risultati. Tra 2002 e 2015 il Comune di Roma ha speso 27 milioni di euro per la scolarizzazione dei minori rom. Ma uno su 5 non si è mai presentato in classe, 9 su 10 non hanno frequentato regolarmente, uno su due è in ritardo scolastico e frequenta una classe non conforme alla sua età, e sui 1.800 bambini rom iscritti, solo 198 hanno frequentato almeno i tre quarti dell’orario scolastico.  Dati allarmanti, raccolti ed elaborati dall’Associazione 21 luglio nel dossier Ultimo banco. A presentare lo studio il presidente dell’associazione Carlo Stasolla, assieme al direttore dell’Unar Francesco Spano e l’ex assessore alla scuola di Roma Marco Rossi Doria. In tredici anni dunque il Campidoglio ha speso nel 'Progetto Scolarizzazione Rom di Roma Capitale' circa 27 milioni di euro, attraverso bandi e proroghe, a quattro organizzazioni (Opera Nomadi, Arci Solidarietà, Capodarco/Ermes, Casa dei diritti sociali) coinvolgendo un numero tra i 500 e i 2.000 minori rom degli insediamenti formali della Capitale. Un investimento importante e a lungo termine, ma su cui non sono mai stati rilevati dati ufficiali circa la valutazione dei risultati e la qualità degli interventi. E dal dossier dell’Associazione 21 luglio emerge un divario drammatico tra i minori rom e gli altri studenti. A frequentare con regolarità le lezioni è solo il 12% dei rom (il 99% tra i non rom), dato crollato addirittura al 7,4% nell’anno scolastico 2012/2013 che ha coinciso con il periodo più intenso degli sgomberi dei 'campi abusivi' e 'tollerati' in linea con l’'Emergenza nomadi' decretata allora dal governo. Differenze enormi anche nel ritardo scolastico: il 50% tra i ragazzini rom (contro una media del 13% tra i non rom) e un abbandono della scuola in età dell’obbligo del 18% (quasi 100 volte di più rispetto allo 0,2% dei non rom). Nell’ultimo anno scolastico moni-torato, 2014/15, nella baraccopoli istituzionale di Castel Romano la frequenza regolare è crollata al 3,1%. Impietosa l’analisi. «La politica di scolarizzazione dei minori rom a Roma si riduce al servizio di trasporto degli alunni» e «il monitoraggio della frequenza scolastica si trasforma, in realtà, in frequenza delle presenze sullo scuolabus». Non solo: «il numero di bus è eccessivamente inferiore» e ciascun mezzo «ogni mattina, in media si reca presso 9 scuole differenti». Tra la prima e l’ultima passa «oltre un’ora e mezzo che alcuni alunni trascorrono sul pullman anziché a scuola». E visto che il bus parte dai campi attorno alle 7,40, «diversi alunni entrano in classe dopo la prima o addirittura dopo la seconda ora». Le responsabilità? Per il dossier sono imputabili alla politica e all’amministrazione, alle competenze degli enti affidatari, al contesto socio- economico dei rom, alle politiche abitative e di sgombero. Perché «alla base di tutto c’è la segregazione abitativa all’interno delle baraccopoli, istituzionali e non, che incide in maniera determinante». Perché «un bambino nato e cresciuto in un contesto di emergenza abitativa» parte «in una condizione di oggettiva penalizzazione»: non ha «servizi igienici adeguati», non ha «spazi di studio per i compiti», quasi sempre i genitori «sono privi di strumenti e capacità per sostenerlo», il trasporto scolastico insufficiente e da periferie estreme istituzionalizza entrate in ritardo e uscite anticipate. E allora, dice Stasolla, «è dal superamento delle baraccopoli che il nuovo sindaco dovrà ripartire per salvaguardare un’infanzia il cui futuro è già compromesso».
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