giovedì 24 marzo 2016
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ROMA La Grande moschea di Roma da più di vent’anni fa parte del panorama della Capitale. Con la sua cupola, gli archi e il minareto è adagiata ai piedi dei Parioli, a fianco di Villa Ada. Sede del Centro islamico culturale d’Italia, è solo la punta dell’iceberg costituito da diverse decine di luoghi di culto musulmani a Roma. Ventiquattro, secondo la guida 2015 della Caritas diocesana sui luoghi di preghiera degli immigrati a Roma, aggiornata con servizi offerti, telefoni e nomi di responsabili e imam. Una trentina, secondo la mappatura dell’Islam realizzata nel 2015 dal Viminale. Luoghi di culto diffusi soprattutto nei quartieri ad alta densità etnica, solitamente in ex-garage e negozi, ma anche abitazioni. Da Centocelle a Torre Angela, dalla Cecchignola alla Magliana, dall’Esquilino fino a Ostia e Acilia. Sono moschee piccole, spesso mimetizzate nel quartiere, poco appariscenti. Raramente è una scelta di 'clandestinità', anche se non mancano casi di luoghi di culto senza autorizzazioni, monitorati e in alcuni casi chiusi dalle autorità. Luoghi 'di basso profilo' sia per la collocazione in locali già inseriti nel tessuto urbano, sia per la natura di 'moschee di quartiere', come accade nei paesi musulmani. Come a Marrakech, in Marocco, dove la grande moschea medievale della Kutubyya svetta tra i giardini del centro, luogo di aggregazione del venerdì. Ma nei vicoli della Medina per le cinque preghiere quotidiane i fedeli scantonano in piccole moschee senza minareto o ornamenti, che rivelano la loro esistenza all’esterno spesso solo per le file di scarpe. Diversamente da quelle delle banlieu parigine o di a Bruxelles, le piccole moschee romane - solitamente registrate come associazioni culturali vista l’assenza di un’intesa tra Stato e Islam – sono frequentate da immigrati musulmani di nazionalità diverse: magrebini, subsahariani, del Corno d’Africa, ma anche mediorientali, pakistani, bengalesi. Un giro a Roma Est offre un ventaglio di tipologie diverse. Come la piccolissima Addawa , allestita da quasi vent’anni a via Posidonio 14, stradina del Pigneto di casette a un piano da ex borgata. Fuori solo un archetto di legno applicato alla tettoia di ingresso. Sulla porta un foglio recita Bismillahi (nel nome di Allah), poi gli orari delle preghiere di Fajr (aurora), Dhuhr (pomeriggio), Asr (sera) e Isha (notte). Non passa inosservata invece la moschea bengalese Masjeed-E-Rome in via Gabrio Serbelloni 25 a Torpignattara, a due passi dalla Casilina. Ai lati dell’ingresso sulla strada due minareti dipinti su mattonelle, sopra un’insegna in arabo e bengalese. Una donna dal volto completamente velato si ferma col passeggino sulla soglia a parlare con l’imam che si sfila le scarpe, saluta ed entra. Nella via diversi esercizi dal negozio di frutta e verdura all’internet point - gestiti da immigrati del Bangladesh. A prevalenza marocchina è invece la moschea Al Huda di via dei Frassini 4 a Centocelle. Una rampa scende in un ex-garage: all’ingresso i rubinetti per le abluzioni sono decorati con le ceramiche bianche e blu, accanto uno scaffale per le scarpe. A due passi, in via dei Pioppi, una sfilza di negozi etnici: l’alimentari «Prodotti arabi, pollo Al Baraka, kebab», alla «Cartoleria di Marrakech» che vende libri in arabo, tappeti per la preghiera e tasbih, il 'rosario islamico'. E c’è pure un barbiere con l’insegna «Acconciatore uomo» tradotta in arabo e anche col romeno Frizerie. Un’inedita società rumeno-magrebina.
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