mercoledì 18 maggio 2022
La mozione in Consiglio comunale ruota intorno all’identità di genere, intesa come percezione di sé che «non corrisponde al genere assegnato alla nascita»
Il Consiglio comunale di Milano in un'immagine d'archivio

Il Consiglio comunale di Milano in un'immagine d'archivio - Fotogramma

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Non ha veri effetti pratici (per ora), è una dichiarazione di intenti, ma pesa come un atto simbolico. Perché il «Registro per il riconoscimento del genere di elezione» che il Consiglio comunale di Milano ha chiesto al sindaco Sala di varare (27 sì nella maggioranza, contrari Lega, Fratelli d’Italia e il centrista Matteo Forte, con Forza Italia astenuta) non può modificare lo stato civile né la procedura per la riassegnazione di genere, definiti per legge.

L’asse della mozione è l’identità di genere, intesa come percezione di sé che «non corrisponde al genere assegnato alla nascita».

Chi vive questa condizione si troverebbe in «un limbo giuridico con documenti che sono del tutto incongruenti con l’aspetto esteriore e l’identità sociale, mantenendo il nome anagrafico e il sesso di origine su tutti i documenti di riconoscimento fino alla conclusione della procedura giudiziale di rettificazione anagrafica».

Finora «nei rapporti interni» a comunità come scuole e università si è fatto ricorso a «una identità “alias” corrispondente al genere di elezione»: «analoga prassi» potrebbe valere anche per «tessere delle biblioteche comunali, abbonamenti per il trasporto pubblico, documenti di riconoscimento interno per i dipendenti del Comune» e «delle aziende partecipate», previo «deposito di atti notori in cui la persona interessata dichiara e l’amministrazione comunale prende atto che – a titolo di esempio – Mario Rossi e Maria Rossi corrispondono alla stessa persona».

L’identità anagrafica dunque non cambia. Né può farlo.

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