venerdì 13 marzo 2020
Gli anziani soli, costretti in casa, chiedono il dono di una telefonata. I poveri bussano domandando cibo. Tanti altri, un aiuto nella preghiera. Vita da clarisse, alla periferia della città
Milano: alcune Sorelle Povere di Santa Chiara nel giardino del monastero di Gorla

Milano: alcune Sorelle Povere di Santa Chiara nel giardino del monastero di Gorla - www.federazioneclarisse.com

COMMENTA E CONDIVIDI

La metropoli bussa alle porte della clausura. Anche nei giorni del coronavirus. Ed è un intrecciarsi di preghiere, parole, gesti solidali, quello che si rinnova dentro e attorno al monastero delle Sorelle Povere di Santa Chiara. Siamo a Gorla, popoloso quartiere alla periferia nord orientale di Milano. Qui le clarisse hanno casa dal 1958. A due passi dal monumento ai «Piccoli Martiri», che ricorda la strage del 20 ottobre 1944, quando una bomba d’aereo centrò una scuola uccidendo 184 bambini.

«Qui intorno, oggi, vivono tanti anziani soli. Che l’emergenza coronavirus costringe in casa, rendendoli ancora più soli», racconta suor Maria Chiara dando voce alla sua comunità («siamo diciannove, con una buona percentuale di sorelle anziane e molto anziane»).

Ebbene: «con quelli che conosciamo personalmente, che frequentano la nostra comunità, come con quelli che ci vengono segnalati – riprende la claustrale – cerchiamo di tenere un contatto, per telefono o e-mail, per dare sollievo a queste solitudini bisognose di relazione. Come cerchiamo di aiutare i poveri che anche ora non mancano di bussare alla nostra porta chiedendo da mangiare.

Spesso sono persone senza dimora, alle quali è ben difficile dire di "restare a casa". In questi ultimi giorni, comprensibilmente, abbiamo visto un po’ meno gente nella nostra chiesa: ma la cassettina per le intenzioni di preghiera non è mai rimasta vuota. Sì, tanti ci chiedono una preghiera: e molti, ora, per telefono o mail. Ma c’è anche chi ci chiede come stiamo e se ci serve qualcosa. In farmacia, ad esempio, non andiamo più: è la farmacista a portarci le medicine. Anche così si tutela la salute delle sorelle più anziane. Come si fa in ogni famiglia, adottiamo ogni cautela per proteggere i membri più fragili e vulnerabili».

Per vie molteplici, dunque, la comunità claustrale condivide disagi e sofferenze della comunità civile. «Rispettando le misure e le indicazioni delle autorità, come ogni buon cittadino», spiega anzitutto suor Maria Chiara. «Con la preghiera, per le persone e le famiglie nella prova, per gli operatori sanitari, per quanti si curano del bene comune».

E non c’è solo l’emergenza sanitaria. «Ci sono anche le temute ripercussioni sull’economia e l’occupazione di cui ci informano i nostri familiari, oltre che i mass media». Ecco: «tutte queste fatiche, solitudini, sofferenze, paure, cerchiamo di ospitarle nella nostra preghiera. Sì, la comunione nella preghiera e nella carità, in questo momento, può unirci in modo ancora più profondo». In Quaresima le clarisse sono solite accogliere persone e gruppi per giornate di ritiro e di preghiera, offrendo occasioni di incontro e testimonianza. Tutto questo, ora, è stato sospeso.

Com’è stata sospesa la Messa con partecipazione di fedeli. «Una scelta certamente difficile e sofferta, quella presa da subito, con grande senso di responsabilità, dai nostri vescovi, a tutela della salute di tutti. Per questo vogliamo esprimere alla Chiesa e ai suoi pastori la nostra gratitudine e stima.

Nessuno rinuncia a cuor leggero all’Eucaristia. Anche noi – prosegue suor Maria Chiara – abbiamo avvertito la fatica di tante persone, e in alcune lo scandalo, quando è stata sospesa la Messa. Ma è stata una provocazione buona, che ci fa riscoprire il valore dell’Eucaristia per la nostra vita». Suor Maria Chiara rilegge questa emergenza nella luce del Levitico, che la scorsa settimana ha alimentato gli esercizi spirituali della comunità. «Questa situazione si offre come occasione – direbbe l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini – per riscoprire come tutti siamo connessi, abitiamo una casa comune, siamo responsabili gli uni degli altri; e come la vita è un dono, non un possesso, che siamo chiamati ad accogliere e curare. E che non dobbiamo chiudere lo sguardo e il cuore alle altre tragedie – penso alle sorelle e ai fratelli siriani – che in questi giorni accadono, accanto e nonostante il coronavirus».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI