martedì 21 aprile 2015
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Molo sporgente centrale, banchine 10-11. Nel porto di Catania, dove le belle navi da crociera hanno la consuetudine di attraccare, su una grigia e lunga parete di freddo cemento veniamo accolti dall’augurale «Benvenuti», tradotto in più lingue. Ieri mattina qualcuno ne aveva aggiunta un’altra, fatta a mano, usando uno spray nero per incidere un grande telo bianco: «Mai più naufraghi. Diritto d’asilo europeo per non morire». C’erano padelle satellitari, telecamere, macchine digitali, computer e taccuini di mezzo mondo, ieri su quel molo. Giornalisti dalle molte lingue d’Europa e finanche dalla lontana Asia. Una babele di voci che si scambiavano informazioni che in un battere di ciglia, nella semplice leggerezza di un tasto premuto, completavano il giro del pianeta. E tutti eravamo lì, in mezzo a ondate di funzionari dell’ordine pubblico, guardia costiera, operatori umanitari e autorità, su quel molo, ad attendere qualcuno che per compiere il suo di viaggio, come un moderno solitario Ulisse, la sua disperata Odissea, ci ha messo la vita e poi non l’ha perduta finendo in fondo al cimitero Mediterraneo. Come molti suoi compagni di viaggio. Come è successo ancora nella passata domenica di tragedia che ci ha lasciati sgomenti con un numero ancora incerto, ma certo alto di morti annegati in un viaggio appena cominciato. Chi si è salvato ha raccontato all’Acnur e ai soccorritori di essersi aggrappato ai cadaveri galleggianti e di aver urlato disperatamente per attirare l’attenzione. «La cifra (950, ndr) riscontrata con la testimonianza resa da un sopravvissuto, un cittadino del Bangladesh, ora ricoverato nell’ospedale Cannizzaro di Catania – dirà nel pomeriggio il procuratore capo di Catania, Giovanni Salvi, ai giornalisti – è da prendere con estrema cautela. Stiamo indagando per una valutazione più attendibile. Ci è stato riferito che il carico umano di quel barcone di 23 metri era stipato e chiuso a chiave in tre stive. E forse è anche per questo che di corpi tra vivi e morti ne sono stati recuperati così pochi». Era ormai notte quando la motovedetta "Bruno Gregoretti", della Guardia costiera, con a bordo quella manciata di 27 superstiti, unici sopravvissuti al dramma del barcone colato a picco domenica notte a 70 miglia dalle coste della Libia e a 120 da Lampedusa, nel Canale di Sicilia, ha attraccato alla banchina 10-11. Ad accoglierla anche il ministro Graziano Delrio. La Caritas diocesana ha fornito loro la cena e il vestiario necessari. Secondo alcune fonti tra i superstiti ci sarebbe anche lo scafista che era alla guida del barcone. Adesso «verificheremo la causa dell’affondamento e cioè se vi è stata una collisione nella fase del tentativo di salvataggio o se i migranti si sono, come sembrerebbe, spostati verso il lato dell’arrivo della nave per essere prima soccorsi e in questo modo hanno determinato il ribaltamento di questa imbarcazione», sottolineava il procuratore. Salvi ha comunque precisato che al momento «non ci sono ipotesi di responsabilità né indagati». Il cosiddetto "dispositivo di salvataggio" in mare oggi, dopo la missione italiana "Mare nostrum", si affida sull’intervento di navi mercantili che non hanno «adeguata preparazione di salvataggio in mare». Il soccorso a mare è un’attività difficile, richiede buona ed elevata professionalità che solo Marina militare e Guardia costiera riescono a garantire. Dice il procuratore: «Certamente non può essere fatta carico all’attuale missione "Triton" questa vicenda. Anche con "Mare nostrum" vi furono terribili disastri. Non era la bacchetta magica. È certo però che dal punto di vista del nostro interesse, nell’accertamento dei fatti, "Mare Nostrum" ci consentiva interventi più rapidi e dal punto di vista dei soccorsi, l’anticipazione dello schieramento consentiva interventi più efficaci». Mentre la polizia giudiziaria era in grado di avviare indagini già in mare aperto a bordo delle navi e così arrestare i traffficanti. Cento quelli condannati in primo grado lo scorso anno. È da vedere se sarà possibile individuare e recuperare il relitto del peschereccio affondato domenica. Dopo avere definito il fenomeno dei migranti «epocale» e la situazione libica «estremamente grave», nell’escludere che attraverso i barconi si possono essere infiltrati terroristi islamisti in Italia e in Europa, Salvi ha concluso: «esiste, però, il rischio che qualche soggetto radicalizzatosi in quelle situazioni di guerra possa mischiarsi tra i migranti dei barconi».
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