giovedì 14 gennaio 2016
Il responsabile Ue alla Migrazione Avramopoulos: continuare e intensificare il dialogo con la Turchia. Hotspot e redistribuzione, bisogna fare le due cose nello stesso tempo. Colonia? Massima condanna, no a generalizzazioni.
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«Bisogna capire che cosa è in gioco: vogliamo l’integrazione europea, l’Europa senza frontiere di Schengen, attuare le visioni dei padri fondatori dell’Unione? O siamo pronti a fare marcia indietro, rinunciando a decenni di conquiste?». È preoccupato, forse anche un po’ pessimista sullo stato dell’Europa, squassata dalla gravissima crisi migratoria, il commissario europeo alla Migrazione Dimitris Avramopoulos. Lo preoccupa, naturalmente, la drammatica notte di violenze e molestie contro le donne a San Silvestro a Colonia, che rischia di peggiorare ulteriormente il clima. «Questi terribili fatti – dice – devono essere condannati con la massima durezza e conto che le autorità tedesche puniranno gli autori, che siano migranti, richiedenti asilo o quant’altro. Questo però non deve portare a generalizzare, a dire che tutti i migranti sono potenziali autori di violenze. Invece questi eventi stanno alimentando reazioni populistiche e xenofobiche e sembrano dare man forte a quanti sfruttano la crisi migratoria per scopi politici, disorientando l’opinione pubblica. Dobbiamo respingere questo amalgama». Berlino intanto avverte che il tempo per trovare soluzioni europee alla crisi sta scadendo… Dobbiamo tutti essere consci della situazione in cui ci troviamo. Dobbiamo finalmente attuare tutto ciò che abbiamo deciso nel corso del 2015 sul fronte migratorio. Gli stati membri devono mostrare responsabilità, mentre finora purtroppo è proprio questo che è stato insufficiente. Perché secondo lei? Alcuni governi si rivolgono puramente alla propria audience politica interna, esprimendo posizioni populistiche. Ma il populismo, il nazionalismo minano il progetto europeo in generale. E questo deve esser chiaro a tutti. Potremmo dire che le misure europee per affrontare la crisi migratoria sono un test cruciale per l’Unione Europea. Le istituzioni comunitarie hanno fatto il loro, abbiamo adottato subito l’agenda per la migrazione, lo schema per la ridistribuzione dei richiedenti asilo da Italia e Grecia. Se ora le altre componenti dell’Ue, gli Stati membri, non decidono di procedere, allora temo che davvero molte conquiste siano a rischio, a cominciare da Schengen che sarebbe quanto meno messo in discussione. Il problema di fondo sono i flussi.Vede possibilità di ridurli? È chiaro a tutti che per ottenere questo obiettivo dobbiamo parlare con i paesi terzi, anzitutto la Turchia, con cui abbiamo concordato un piano di azione. Le cose cominciano a muoversi, ma è vero che i risultati, diciamo così, non sono esattamente spettacolari. Dovremo continuare e intensificare il dialogo con le autorità turche. E poi resta la rotta del nord Africa… Certo. Finché la questione politica libica non è risolta, resterà un corridoio per vari migranti sfruttati dai trafficanti, con come primo obiettivo l’Italia. Anche qui però la Turchia è cruciale: perché parte dei flussi nordafricani passano di là, anche in virtù di accordi di liberalizzazione dei visti di Ankara con numerosi paesi del Maghreb e medio-orientali. Aggiungo che molto importanti sono anche gli accordi di riammissione con vari paesi terzi. Molti però puntano il dito soprattutto sulla insufficiente tutela delle frontiere esterne, e su Italia e Grecia… Diciamolo: Italia e Grecia avrebbero potuto fare di più prima. Certo, sono state colte di sorpresa, i sistemi nazionali non erano in grado di affrontare una situazione di emergenza di queste dimensioni. Ora le cose si stanno muovendo, ma il fatto è che intanto centinaia di migliaia di migranti sono passati attraverso questi due paesi diretti verso il Nord Europa. Ma come potevano Italia e Grecia da sole fronteggiare un fenomeno di queste dimensioni?  Ma è proprio per questo che abbiamo deciso una serie di misure nel 2015 e a dicembre abbiamo proposto un vero e proprio corpo di guardie di frontiera e costiera Ue, un’idea accolta con calore da tutti gli Stati membri. Che cosa devono fare di più adesso Italia e Grecia? Devono aumentare i loro sforzi, anzitutto facendo in modo di avere in funzione tutti gli hotspot( i centri di identificazione e accoglienza con il sostegno di personale Ue, ndr) il più presto possibile. Perché, a dispetto di impegni e promesse, né l’Italia né la Grecia si sono mosse con la necessaria rapidità. Ora siamo in una situazione migliore, Italia ha già creato due hotspot (Lampedusa e Trapani, ndr), la Grecia uno (Lesbo, ndr). Ma non basta, l’Italia deve aprirne almeno altri quattro, e lo stesso la Grecia, e devono anche migliorare le capacità di accoglienza. Come è vero, d’altronde, che ci sono stati membri che pur avendo approvato il meccanismo di redistribuzione, ora rifiutano di accogliere richiedenti asilo da Italia e Grecia. In proposito il ministro dell’Interno Angelino Alfano avverte che hotspot e redistribuzione di richiedenti asilo devono andare in parallelo… Non è questione di 'parallelismo', ma è vero che bisogna fare tutto allo stesso tempo, hotspot e redistribuzione. Sarà, ma l’Italia si sente ingiustamente attaccata. Era proprio necessario aprire una procedura per l’insufficiente prelievo delle impronte digitali? Si tratta di una procedura che ha le sue origini prima dell’entrata in carica dell’attuale Commissione. È una procedura legale, che non potevamo sospendere in modo 'politico'. È vero però che l’Italia ha cominciato a fare quel che deve, le cose stanno cambiando. E a breve faremo una nuova valutazione, prendendo atto dei progressi. Qualcuno dice anche che la ridistribuzione non funziona anche perché l’Italia ha troppi pochi migranti 'idonei' (siriani, eritrei, iracheni). Le risulta? Vede, tutti parlano di numeri, ma è molto difficile confermarli. So che Italia e Grecia negli ultimi 18 mesi hanno accolto centinaia di migliaia di migranti. Il problema è che non sappiamo quanti siano davvero rimasti, soprattutto per il periodo prima della creazione dei primi hotspote dell’avvio dei prelievi di impronte digitali. La situazione sarà molto più chiara se davvero entro febbraio-marzo saranno aperti tutti gli hotspot.
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