mercoledì 15 novembre 2017
L’Alto commissariato per i diritti umani: non possiamo essere testimoni silenti della schiavitù moderna, di stupri e altre violenze e di uccisioni fuorilegge nel nome della gestione dell’immigrazione
Ispettori Onu in Libia: «Siamo scioccati»
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Se in passato era toccato al governo italiano prendersi le strigliate delle Nazioni Unite, stavolta l’Onu punta dritto su Bruxelles, accusando l’Unione europea di pratiche «disumane», avendo mascherato da «rimpatri» i respingimenti in mare, e pagando Tripoli per compiere il lavoro sporco.
La denuncia arriva dall’Alto commissariato per i diritti umani, che da Ginevra fa sapere di avere investigato il contenuto e l’applicazione delle intese con il governo riconosciuto di Serraj, inviando in Libia una squadra di osservatori, rientrati nel quartier generale delle Nazioni Unite in Svizzera visibilmente scioccati.
La politica Ue di assistere la guardia costiera libica per intercettare nel Mediterraneo e riportare indietro i migranti è «disumana», denuncia l’Alto commissario Zeid Ra’ad Al Hussein. Perché i respingimenti verso la Libia significano una condanna all’inferno. «Orrori inimmaginabili» che gli osservatori Onu hanno accuratamente annotato al termine della missione compiuta dall’1 al 6 novembre. I funzionari hanno visitato a Tripoli quattro centri di detenzione ufficiali, gestiti dal dipartimento per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim). «Non possiamo essere testimoni silenti della schiavitù moderna, di stupri e altre violenze sessuali – si legge nel documento di Ginevra –, di uccisioni fuorilegge nel nome della gestione dell’immigrazione e dell’evitare che persone disperate e traumatizzate raggiungano le coste dell’Europa».


Da Bruxelles è arrivata una reazione molto diplomatica. L’Ue lavora in Libia «in piena cooperazione» con l’Onu, spiega una portavoce della Commissione europea, ammettendo però che «i campi di detenzione in Libia devono essere chiusi» perché «la situazione è inaccettabile». Il commissario per gli affari interni e l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ricorda di aver «ribadito» anche lunedì a Berna al ministro degli interni libico «la necessità di migliorare urgentemente» le condizioni dei migranti in Libia. «Sin dal primo momento l’Italia ha posto in tutte le sedi il problema delle condizioni umanitarie dei centri di accoglienza in Libia», si legge in una nota della Farnesina. «Sono mesi – aggiunge il ministero degli Esteri – che chiediamo a tutti i player coinvolti di moltiplicare l’impegno e gli sforzi in Libia per assicurare condizioni accettabili e dignitose alle persone presenti nei centri di accoglienza».
Il responsabile Onu per i diritti umani riferisce però che questi standard sono lontanissimi. I racconti dei migranti raccolti dagli osservatori, riguardano violenze e stupri anche a opera del personale dei centri di detenzione. «Sono stata portata via dal centro Dcim – ha raccontato una migrante subsahariana – e poi stuprata in una casa da tre uomini, compresa una guardia del Dcim». Donne, uomini e bambini trattenuti nei centri ufficiali raccontano anche di venire sistematicamente maltrattati: «Ci picchiano ogni giorno, solo perché chiediamo cibo o cure mediche o informazioni su cosa ci accade», ha riferito un migrante del Camerun. Un uomo detenuto nel centro libico di Tarik al-Matar, dove 2mila migranti vivono ammassati in un hangar senza bagni funzionanti, ha descritto così la vita da senza diritti: «Siamo come in una scatola di fiammiferi, non dormiamo, abbiamo malattie, ci manca cibo, non ci laviamo per mesi. Moriremo tutti se non veniamo salvati da questo posto, è un calvario, è troppo difficile sopravvivere all’odore di feci e urine, molti stanno svenuti a terra».


Zeid ha raccontato che gli osservatori hanno visto «migliaia di uomini, donne e bambini emaciati e traumatizzati, ammucchiati gli uni sugli altri, imprigionati in hangar senza accesso ai beni di prima necessità più basilari e privati della loro dignità umana». Ue e Italia, ricorda l’Alto commissariato per i diritti umani, stanno fornendo assistenza alla guardia costiera libica, nonostante il timore che questa pratica «condanni più migranti a una detenzione arbitraria e illimitata, esponendoli a tortura, stupro, lavori forzati, sfruttamento ed estorsione».
Secondo i dati del governo libico, all’inizio di novembre erano 19.900 le persone detenute nelle strutture sotto il suo controllo: una cifra in aumento rispetto ai circa 7mila dichiarati a metà settembre. Un aumento che si deve ai violenti combattimenti a avvenuti nelle settimane scorse a Sabratha, città dell’ovest della Libia, diventata la principale piattaforma logistica dei trafficanti di uomini.

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