sabato 14 novembre 2020
Nasce un Comitato per la difesa dei migranti in mare. Tra i promotori ci sono Manconi, Zagrebelsky, Veronesi e molte organizzazioni non governative. «Va ripristinato un sistema efficace»
Un'immagine dal video diffuso dalla Ong Open Arms sul naufragio di mercoledì 11 novembre, in cui sono morte 6 persone. E tra loro il bambino Youssef di 6 mesi

Un'immagine dal video diffuso dalla Ong Open Arms sul naufragio di mercoledì 11 novembre, in cui sono morte 6 persone. E tra loro il bambino Youssef di 6 mesi - Reuters

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La nascita di un comitato per il ripristino dei Diritti umani in mare contiene in sé una pessima notizia. Perché vuol dire che le radici europee sono state contaminate, e adesso occorre sensibilizzare l’opinione pubblica per sollecitare, ad esempio, «il ripristino di un efficace sistema istituzionale di ricerca e soccorso».
Non è solo un problema di salvataggi mancati. Ma di prospettiva comune. Dalla fine del 2016 le organizzazioni umanitarie impegnate nel soccorso in mare sono il bersaglio «di un’aggressiva campagna di delegittimazione. Subiscono attacchi strumentali e accuse infamanti; sono state oggetto di procedimenti giudiziari che non hanno fornito alcuna evidenza di comportamenti illeciti e si sono tutti conclusi con l’archiviazione in fase preliminare».

Lo ricorda una nota con cui viene spiegata l’istituzione di un “Comitato per il diritto al soccorso”. Ne fanno parte l’ammiraglio Vittorio Alessandro, e poi giuristi, ex magistrati, docenti universitari come Francesca De Vittor, Luigi Ferrajoli, Paola Gaeta, Armando Spataro, Federica Resta, Luigi Manconi, Vladimiro Zagrebelsky e lo scrittore Sandro Veronesi. Sono coinvolte Sea–Watch, Proactiva Open Arms, Medici Senza Frontiere, Mediterranea Saving Humans, Sos Méditerranée, Emergency e ResQ.


825
I migranti morti nel Mediterraneo, da inizio anno, nel tentativo di raggiungere l’Europa

31.214
I rifugiati giunti sulle nostre coste, da gennaio. Perlopiù persone fuggite dalla Libia o cittadini tunisini


11mila
I migranti riportati in Libia, da inizio anno, intercettati dalla cosiddetta guardia costiera libica


650
Le persone a bordo della nave-quarantena Azzurra che raggiungerà oggi il porto di Augusta



Il riferimento alla campagna di disinformazione partita alla fine del 2016 non è secondario. Ma c’è anche un richiamo all’autocritica. All’epoca il presidente del Consiglio era l’attuale commissario Ue Paolo Gentiloni (Pd) e il ministro degli Interni era Marco Minniti (Pd). Poi sono arrivati il Conte I, con il leghista Salvini al Viminale, e il Conte II, con il prefetto Lamorgese agli Interni e alle Infrastrutture Paola De Micheli (Pd). Proprio a quest’ultima sembrano rivolte alcune delle accuse più dure. A cominciare dal «ricorso sproporzionato ad attività di controllo ispettivo e il frequente sequestro amministrativo delle navi» ad opera delle Capitanerie di Porto, che rispondono proprio al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Nel primo documento-manifesto del comitato viene ricordato che il Mediterraneo «è stato in questi anni una delle principali vie di fuga dagli orrori delle guerre e delle catastrofi naturali, dei conflitti tribali e delle persecuzioni religiose, etniche e politiche, delle carestie e delle pandemie». Una via di fuga dove trafficanti di esseri umani, mercanti di schiavi e truppe mercenarie «hanno imperversato vendendo e comprando uomini, donne e bambini, sequestrando ed estorcendo, seviziando e torturando, dal deserto del Sahel ai campi di detenzione in Libia fino alle acque, dove le milizie affondano le barche dei profughi e sparano sui naufraghi».

Scenario quotidiano giudicato come «conseguenza perversa della globalizzazione e dello scambio ineguale, della nuova divisione internazionale del lavoro e della subordinazione economica e commerciale dei paesi poveri alle grandi potenze».
Nel testo i promotori richiamano alla complessità delle migrazioni, che non può essere liquidata con parole d’ordine che disconoscono le radici europee. «Il mutuo soccorso è stato il primo legame sociale e la base della reciprocità nelle relazioni tra gli esseri umani».

Ma oggi questo senso di appartenenza rischia di essere mortificato e compresso, «se non direttamente negato, in nome della sicurezza dei confini esterni e della difesa “dall’invasione” delle moltitudini povere». Il dogma, al contrario, è diventata «la protezione delle frontiere», trasformato in «valore supremo, in nome del quale si arriva a sospendere quello che si pensava fosse un diritto irrinunciabile». A cominciare dal soccorso in mare, finito per essere «assimilato a un’attività criminale da interdire, contrastare, penalizzare», quando invece occorre «un sistema che veda coinvolti quanti operano nel Mediterraneo, navi mercantili e pescherecci compresi, insieme alle imbarcazioni delle Ong e a quelle della Guardia costiera, nella prospettiva che siano gli Stati e le loro strutture – come vuole il diritto internazionale – ad assumere interamente quel compito».

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