mercoledì 12 febbraio 2014
​In Sicilia gli istituti religiosi offrono posti letto ed esperienza. Ma anche amicizia vera per costruire il futuro. 
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Tra quelle mura risuonano i primi vagiti di una nuova vita, si studiano i primi rudimenti dell’italiano, si danno calci a un pallone, sperando che un giorno, il più presto possibile, la propria esistenza possa svolgersi fuori da lì, magari in un altro Paese, con un lavoro, una famiglia, una casa. È difficile restare sereni quando ci si è lasciati alle spalle anni di privazioni e violenze, si è tentato il tutto per tutto a bordo di un barcone che ha sfidato le onde del Mediterraneo e si affronta l’incognita di un futuro da rifugiati. I volontari delle strutture ecclesiali che hanno aperto le loro porte ai migranti provano in ogni modo ad alleviare l’attesa e riempirla di contenuti. Casa famiglia Rosetta, forte dei suoi trent’anni di accoglienza di malati e disabili, è riuscita ad aprire l’istituto San Pio X di Partinico a circa 25 migranti somali e a una coppia nigeriana, giunti nel paese della diocesi di Monreale proprio la sera del 3 ottobre, mentre a qualche chilometro di distanza, nel mare di Lampedusa, si contavano i morti della terribile tragedia del mare. «I volontari insegnano l’italiano a queste donne somale, che invece aiutano nella gestione della casa – spiega don Vincenzo Sorce, fondatore di Casa Rosetta in Sicilia –. Abbiamo anche allestito un laboratorio con macchine da cucire, per insegnare a queste donne un mestiere. Il centro è polifunzionale: ha la mensa per i poveri, accoglie i malati di Aids a Casa Puglisi e adesso anche i profughi. E poi questa nuova occasione ha svegliato belle risorse di volontariato in paese. Si sentono tutti coinvolti nell’offrire qualcosa a questi migranti». Soprattutto da quando, in questa grande famiglia, è scoppiata la scintilla della vita. Il 9 dicembre a rompere la routine dell’attesa è nato Destiny, il bimbo di una giovane coppia di nigeriani, Adesua ed Emma. Una gioia immensa che ha travolto tutti. A Natale il vescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, ha visitato il centro di accoglienza e sono stati donati culla e corredino al piccolo Destiny. A giorni è prevista un’altra nascita, questa volta del figlio di una donna somala. E un nuovo fiocco rallegrerà la porta del San Pio X. Recuperato per i migranti anche uno spazio in una storica struttura d’accoglienza di Palermo, l’istituto casa lavoro e preghiera di Padre Messina, proprio sul mare. Dove nei primi del Novecento venivano accolti orfani e bambini di strada, da un paio di settimane sono arrivati 19 pachistani e un nigeriano, grazie alla disponibilità delle suore dell’istituto che ha messo a disposizione il punto incontro giovani e della Caritas palermitana, guidata da don Sergio Mattaliano. «Utilizzare strutture in centro storico non era possibile per motivi di sicurezza, così siamo riusciti a trovare questo spazio che storicamente era destinato all’accoglienza» ricorda il vicedirettore della Caritas diocesana, Mario Sedia. Ma c’è anche chi ha le spalle larghe dell’accoglienza da anni, come il convento di Sant’Antonio dei frati minori francescani di Favara con la “Tenda di Abramo”, avviata a fine 2011. Con fra’ Giuseppe, fra’ Salvatore e fra’ Juan vivono sedici “fratelli” nigeriani, afghani, romeni, del Mali, ci sono cattolici, musulmani, ortodossi. Tutti lavorano alla gestione della struttura, all’orto, agli animali, alla cucina, alla pulizia. Aspettano con ansia la valutazione del loro status di rifugiati, sognano un lavoro, magari lontano da qui. E un punto di riferimento è don Beniamino Sacco, a Vittoria, in provincia di Ragusa, che da anni ospita migranti provenienti da ogni parte dell’Africa e dell’Asia, nei locali della chiesa Spirito Santo. Chiunque bussi a questa porta, troverà un posto: qui possono dormire fino a 80 persone, ma ogni mese il centro arriva a distribuire alimenti a 950 famiglie. Accoglienza, un letto per dormire, un piatto caldo, ma soprattutto socializzazione e inserimento. Lo racconta la stessa comunità dello Spirito Santo. All’inizio il centro di accoglienza era limitato a un saloncino adibito a dormitorio. Progressivamente sono stati realizzati i servizi igienici, le camere, la mensa con un ampia cucina, un cortile attrezzato di panchine e fontane per il relax e la socializzazione e un campo sportivo con relativa tribuna. L’obiettivo di don Beniamino è quello di trovare un’occupazione per coloro che chiedono aiuto, perché il bisogno e il disagio sociale rende schiavi.
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