Un fermo "no" all'equazione tra immigrazione e
terrorismo, ma anche una condanna per chi all'integralismo
dell'islam contrappone una visione integralista del Vangelo. A
sottolinearlo è
monsignor Nunzio Galantino, nel suo intervento durante la presentazione del 25esimo Rapporto immigrazione di Caritas e Migrantes. Prendendo spunto dal brutto fatto di cronaca
avvenuto ieri sul lungomare di Porto d'Ascoli, quando due ragazzi
bengalesi che vendevano fiori sono stati pestati a sangue
perché non hanno saputo recitare il Vangelo, il segretario
generale della Cei ha
sottolineato quanto sia sbagliata la "lettura ideologica del
Vangelo".
Galantino ha ricordato che bisogna affrontare il tema
dell'immigrazione "lasciando sullo sfondo luoghi comuni e facendo
leva su alcuni punti-chiave". Innanzitutto, il linguaggio. "L'uso
di alcune parole come invasione, emergenza, crisi - ha detto - non
aiuta certamente ad affrontare correttamente le trasformazioni
corso; contribuisce, piuttosto, a falsare i dati reali e ad
allargare la forbice tra percezione e realtà del fenomeno
migratorio. Occorre, inoltre, riconoscere come delle politiche
migratorie si continui a fare una lettura prevalentemente, se non
esclusivamente, economica, ma di un'economia falsata. Infine,
rispetto ad altre epoche segnate dalla migrazione, in questa fase
c'è un elemento di novità, costituito dalla forte presenza
dell'islam - aggiunge -. La lettura integralista dell'islam, che
è alla base del terrorismo, sta ritardando, se non escludendo, la
possibilità di incontro con l'esperienza di un islam moderato.
Da qui, due conseguenze, da cui è necessario guardarsi: alla
lettura integralista dell'islam da parte di alcuni, si va facendo
strada una lettura integralista e, quindi, ideologica del
Vangelo, fino ad arrivare a quello che due giovani hanno fatto
ieri sul Lungomare del Porto d'Ascoli. Inoltre assistiamo alla
riaffermazione del ruolo pubblico della religione cristiana, che
alcuni Stati e alcuni movimenti stanno veicolando, in realtà
riduce l'esperienza religiosa a uno strumento da opporre
all'altro. Se e quando si riesce a guardare al fenomeno
migratorio liberandolo da facili, deformanti e disinformate
equazioni, è possibile percorrere un'altra strada, che è quella
nella quale la Chiesa si riconosce".
Secondo il segretario della Cei, inoltre, "la strage di Dacca ha
inferto un colpo decisivo all'equazione, data per scontata dagli
imprenditori della paura, tra immigrazione e terrorismo. Dobbiamo
riconoscere che a tutt'oggi gli attentatori non sono praticamente
mai gente arrivata in Belgio, in Francia o in Bangladesh con i
barconi - sottolinea -. Non a caso i commenti sull'identità degli
autori del massacro oggi si appuntano sul fatto che si tratta di
giovani rampolli di famiglie note e di ampie possibilità
economiche, ben diverse dalla popolazione poverissima che abita
il Paese".
L'intervento di monsignor Perego: numeri stabiliI numeri e le analisi del XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes presentato oggi a Roma dimostrano che la presenza di immigrati in Italia è stabile "con una crescita annuale di soli 11mila immigrati nel 2015 e i primi cali di numeri di immigrati nel Nord Est, nelle Marche e in Umbria". Nonostante cio' "si continua a parlare di 'invasione inarrestabile' in riferimento a 130mila richiedenti asilo e rifugiati accolti nelle diverse città e regioni del nostro Paese. Falsificazioni che impediscono ancora un'adeguata politica dell'immigrazione": lo ha affermato oggi
monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, durante la presentazione del volume. "Sono 25 anni che Caritas e Migrantes, organismi pastorali della Cei, hanno sentito il dovere di leggere e raccontare, anche con i numeri, un fenomeno importante, quale è l'immigrazione, che sta rinnovando i luoghi fondamentali della vita sociale del nostro Paese: il lavoro, la scuola, la famiglia, la città, la Chiesa - ha ricordato -. L'esigenza di una lettura attenta e puntuale, statistica e sociologica, ripetuta ogni anno, è nata dal rischio - mai cessato in questi 25 anni - di raccontare l'immigrazione più affidandosi alla 'percezione' del fenomeno migratorio che alla sua realtà. Un rischio di ieri - quando 25 anni fa si iniziava a parlare sulla stampa di 'invasione inarrestabile', smentita dai dati del primo Rapporto immigrazione del 1991, che fece la fotografia di un popolo di 356mila persone - e un rischio di oggi". Al contrario questo "popolo di 5 milioni di persone arrivate o nate in Italia" sta "diventando sempre piu' una componente strutturale per la crescita del nostro Paese. Ogni chiusura, ogni discriminazione, ogni ritardo nel riconoscimento della cittadinanza, ogni esclusione impoverisce, indebolisce la vita delle nostre citta' e, in esse, della Chiesa", ha concluso.
Monsignor Di Tora (Migrantes): cittadinanza per i minori stranieri“Una cittadinanza per i minori stranieri (oltre 1 milione in Italia), ma anche un esercizio della cittadinanza per gli adulti sono due binari su cui corre una cultura dell’incontro che si traduca nella capacità anche di riconoscere peso alla rappresentanza del popolo dei migranti, superando anche le paure di chi vede nell’allargamento dell’esercizio del voto una debolezza e non una forza nel rinnovamento del nostro Paese”: sono alcune delle richieste avanzate oggi a Roma da
monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma e presidente della Fondazione Migrantes, durante la presentazione del XXV Rapporto immigrazione Caritas/Migrantes. “Gli immigrati non possono essere qualificati solo come lavoratori: sono mariti, padri di famiglia, figli – ha sottolineato -. La famiglia, il ricongiungimento familiare, una politica familiare attenta alle nuove famiglie miste, sempre più crescenti, è il secondo luogo fondamentale da tutelare nella costruzione di una cultura dell’incontro”. Anche “ritardare i ricongiungimenti, lasciare troppi anni le persone, soprattutto i figli in un contesto di famiglia spezzata, amputata – ha ricordato – significa ritardare processi di inclusione sociale e di integrazione”. Purtroppo, ha rilevato, i tanti minori migranti presenti nelle nostre scuole, negli oratori, nelle associazioni, “non sono riconosciuti ancora come cittadini italiani pur essendo nati nella maggior parte di casi in Italia o pur avendo studiato in Italia: un grave ritardo che si trascina ancora oggi e che speriamo venga superato al più presto”.All'incontro sono intervenuti anche il direttore della Caritas monsignor Francesco Soddu, Oliviero Forti (Ufficio Immigrazione Caritas Italiana), Elena Besozzi (Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università Cattolica Sacro Cuore di Milano), Enzo Pace (Docente di Sociologia della religione, Università di Padova).
Per le istituzioni ci sono stati gli interventi di Piero Fassino (presidente ANCI), di Rosa De Pasquale, delegata del ministro all'Istruzione Stefania Giannini, Paolo Masini, delegato del ministro ai Beni culturali Dario Franceschini. Ha coordinato i lavori il direttore di Avvenire Marco Tarquinio.