mercoledì 11 dicembre 2013
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Andrea s’è sfilato il casco. È stato come fare un inchino, come porgere l’altra guancia. «Non ai neofascisti, né agli antagonisti, né ai violenti per mestiere o ai balordi organizzati che ci assaltano per loro divertimento. Quelli no, basta un ordine, e io manganello. Le prendiamo e le diamo. Non è divertente, ma devo farlo. Dobbiamo proteggere le istituzioni e tutelare la gente che alle manifestazioni ci va solo per farsi sentire, senza fare del male». Andrea s’è sfilato il casco per loro. Per le rughe tristi dei pensionati, che al posto delle bandiere sventolano bollette non pagate. Per quel giovane papà che brandiva un biberon vuoto. Per lo sguardo sperso del negoziante senza più bottega. «E per la vedova di un artigiano che conoscevo – racconta l’agente a poche ore da un nuovo turno in centro a Torino –. S’è impiccato nel suo negozio, e tutti sanno perché». È vero, quello degli uomini in divisa che si sono tolti le protezioni come in una specie di spontaneo «rompete le righe» è stato un gesto distensivo. Andrea vuole che si sappia, ma va oltre. «Lo abbiamo fatto perché tra noi e loro, tra il mio stipendio e le loro buste paga, tra le loro angosce e le nostre non c’è poi tutta questa differenza». Anche la Confederazione sindacale autonoma di Polizia (Consap) ha confermato che i «i colleghi – spiega una nota – togliendosi il casco hanno fatto un gesto di comprensione per la disperazione di chi protesta». Una scelta che «deve far riflettere chi approva manovre finanziarie che bloccano il rinnovo dei contratti e riducono gli appartenenti alle forze di polizia sulla soglia di povertà». E chissà che Andrea, sfilandosi il casco, non avrebbe voluto passare dall’altra parte della barricata.
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