mercoledì 14 agosto 2013
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​La prima reazione è istintiva. «Così rinvia tutto», dice Silvio Berlusconi ai suoi legali riuniti ad Arcore per una nuova giornata di passione. Poi inizia la ridda di telefonate di falchi e colombe. A loro, indistintamente, affida la consegna della prudenza e della cautela, chiedendo commenti sommariamente ottimistici alla nota del Colle. Solo ai fedelissimi e ai familiari confida i tre pensieri che si alternano nella sua mente. Il primo è positivo: «Finalmente c’è il riconoscimento della mia e della nostra storia politica...». Il secondo pensiero è simile ad una speranza, e lo spinge a pensare seriamente alla richiesta della grazia o della commutazione della pena: se prima la mossa appariva un azzardo politico, ieri Napolitano l’ha normalizzata, facendo intendere che da parte sua non ci sono pregiudizi. Il terzo pensiero è il peggiore, quasi inconfessabile: «E se stessero prendendo tempo per accompagnarmi alla porta dolcemente? Se fosse così, lo dico chiaro e tondo: io resto in campo, resterò la guida di Forza Italia e del centrodestra...».Un pensiero ispirato dai falchi anche per delegittimare la colombe, ma che Berlusconi valida leggendo attentamente i passaggi in cui Napolitano blinda l’esecutivo e si chiama fuori sul tema dell’«agibilità politica»: la grazia o la commutazione eviterebbero l’umiliazione dei domiciliari o dei servizi sociali, ma non scioglierebbe i nodi della decadenza da senatore e dell’ineleggibilità stabiliti dalla legge-Severino. Anzi il Colle, letto da Arcore, sembra suggerire un altro percorso: l’accettazione della sentenza, le dimissioni e la fiducia in un magistrato di sorveglianza che sappia adattare la pena alla "originalità" del condannato. Ma non è certo ad un giudice che il Cav vuole affidare i suoi margini di manovra politica. Il nodo, dunque, non è risolto. Berlusconi non vuole restare fuori dalle istituzioni, vuole essere se stesso e non il Grillo del centrodestra.In ogni caso, le finestrelle lasciate aperte dal Quirinale suggeriscono che non è il momento di alzare i toni. Nemmeno sul futuro del governo. Almeno non ora, non d’impeto. Di certo il Pdl nei prossimi giorni alzerà i toni su Imu ed economia, ma questo fa parte del gioco. Non è un caso se la batteria dei commenti successivi alla nota somigli a un coro che ha provato insieme per mesi: da Cicchitto a Gasparri, da Gelmini a Biancofiore a Romani, tutti vedono «spiragli, prospettive aperte, sentieri percorribili». Tutti vedono colpi di martello al Pd e all’ansia dei democrat di vedere Silvio fuori dalle istituzioni. Nessuno si prende la responsabilità di alzare i toni, nemmeno - almeno sino a tarda sera - Daniela Santanché. Ma i fronti interni al partito restano ben distinti: le colombe a spingere per seguire la rotta del Colle, i falchi che temono il delitto perfetto. E che non nascondono la loro delusione: «Ci aspettavamo molto di più».Diversamente dal giorno in cui il Colle commentò la sentenza-Mediaset, stavolta il premier Enrico Letta non si accoda alle parole del capo dello Stato e resta in silenzio. Eppure anche lui ha fitti contatti con i suoi fedelissimi. E il messaggio che lascia è positivo: «Napolitano tiene la barra dritta, prima il governo poi tutto il resto. Oggi siamo più forti di ieri e lo spread lo conferma», spiega il presidente del Consiglio. Che cerca anche di andare più a fondo nell’analisi delle parole del Colle: «È un chiaro messaggio che nessuno vuole accanirsi contro Berlusconi, che la pena va "umanizzata", ma questa storia deve avere una conclusione lineare, degna di un Paese normale in cui si rispettano le istituzioni», dice un senatore che ha avuto modo di sentire il premier. In fondo, Letta crede che il suo governo debba durare sino al 2015 anche per dare alla politica il tempo di rinnovarsi, senza traumi, nelle forme e nelle leadership.
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