sabato 9 febbraio 2013
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​Precari e senza diritti: praticamente invisibili. È la drammatica condizione dei ricercatori universitari, che emerge dalla terza indagine su dottorato e post-doc presentata ieri alla Sapienza di Roma dall’Adi, l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani. Prendendo a riferimento il numero di borse di dottorato bandite negli ultimi cinque anni da ventuno università statali italiane, passate dalle 5.045 del 2008-2009 alle 3.804 del 2012-2013 (-24,33%), e arrotondando a 40mila euro l’importo triennale lordo di ciascuna borsa di dottorato, l’Adi ha calcolato che, soltanto nel quinquennio e negli atenei considerati, il taglio dei finanziamenti alla ricerca è stato di 202 milioni e 680mila euro.Per l’anno in corso, inoltre, il numero di posti di dottorato senza borsa (3.030) rappresenta quasi il 50% del totale. «È vero che in alcuni casi i posti senza borsa vengono coperti da fondi supplementari, esterni o meno – osservano all’Adi – ma in molti casi si tratta di dottorandi che non solo non percepiscono nessun sostegno economico, ma pagano anche le tasse».Stando ai conti dell’Associazione, mediamente queste tasse arrivano a superare i 2mila euro l’anno, cifra che, denuncia l’Adi, «è destinata certamente ad aumentare». Per superare questa situazione molto sfavorevole per i dottorandi - che in Italia sono ancora equiparati agli studenti, contrariamente a quanto prevede la Carta europea dei ricercatori adottata dai rettori italiani nel 2005 - l’Adi propone di «eliminare le tasse per i dottorandi senza borsa».Anche chi una borsa ce l’ha non naviga certo nell’oro. Da una comparazione europea emerge, infatti, che gli stipendi dei ricercatori universitari italiani sono tra i più bassi in assoluto. Mediamente, una borsa di dottorato, in Italia, è di 1.035 euro al mese, rispetto ai 4.100 della Svizzera. ai 3.400 della Norvegia e ai 2.440 della Danimarca. Corretto per il costo della vita, l’importo scende a 1.005 euro mensili in Italia, mentre resta più che dignitoso altrove: 2.531 euro in Svizzera, 2.252 in Norvegia e 1.920 in Finlandia.Va anche peggio per le prospettive di carriera, praticamente inesistenti. Alla luce degli 800 posti di ricercatore a tempo determinato banditi nel 2012, l’Adi ha calcolato che «il 93% degli attuali assegnisti non continuerà a fare ricerca nell’università», mentre soltanto il 7% è destinato ad un posto di lavoro a tempo indeterminato. Uno «spreco di competenze», non solo per l’università ma anche per l’intero Paese, che nel resto d’Europa riguarda appena il 16% dei dottorandi.«Non si può semplificare questo problema in una semplice questione di “investimento” o “scommessa” fatti da chi vuole intraprendere questo percorso – avverte l’Adi –. L’investimento viene fatto da tutto il sistema universitario, e in senso più ampio da tutto il Paese, ed è preoccupante che il dibattito sul reclutamento universitario non tenga conto di questi dati disastrosi».
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