martedì 21 ottobre 2014
Legge elettorale, Renzi ribalta l'Italicum e apre ai "transfughi" di Sel e Sc. «Rispetto» per la Cgil.
La Cgil punta al milione in piazza
COMMENTA E CONDIVIDI
Non ha ricette, questa volta, Matteo Renzi. O meglio, il segretario democratico è pronto ad accogliere varianti sul tema partito, ma gli ingredienti base che ha in testa sono chiari e vanno ben oltre quella «confederazione di correnti» paventata da chi teme la sua Leopolda. Ebbene, nella Direzione voluta dalla minoranza che ha denunciato il calo degli iscritti e il suo Jobs Act, Renzi cerca il dialogo e – come nel suo stile – marca le differenze. Sullo sfondo, l’Itali-cum che riprende il suo cammino, destinato, secondo le intenzioni renziane, a strutturare il nostro come un Paese a vocazione maggioritaria. Il leader di largo del Nazareno si mostra conciliante con la piazza della Cgil (che tanto richiama la sinistra del Pd), e rassicurante sulla manifestazione «culturale» – specifica – che ogni anno si tiene nella vecchia stazione di Firenze: «La Leopolda è uno straordinario spazio di libertà e bellezza della politica e continuare a drammatizzarla ci fa perdere un’occasione. Veniteci!».  Il segretario del Pd lancia il dado, in attesa che una discussione ampia, nel tempo, metta nero su bianco come dovrà essere il partito. Oggi, ripete Renzi, «l’alternativa è la piazza talvolta xenofoba, il populismo e la demagogia. Tra i suoi però le perplessità sono molte e la preoccupazione per l’iniziativa fiorentina è forte, come denunciano Cuperlo, Fassina e D’Attorre. Il premier ascolta e rassicura, ma ancora una volta spara contro chi si arrocca sui vecchi schemi. E allora, dice, «dobbiamo prendere voti dagli altri e stare attenti a non perderli». Insomma, «abbiamo un atteggiamento arrogante che ci frega, per cui chi non ci vota è un compagno che sbaglia». Nel suo Pd il segretario vede anche Migliore (fuoriuscito da Sel) e Andrea Romano di Scelta civica. Ma è lo stesso Renzi che invita alla Leopolda, sapendo che sabato «in molti avete altro da fare». Nessun giudizio, ripete, alludendo alla manifestazione della Cgil. «Io sono il primo ad essere contro la corrente dei renziani e mai e poi mai ci sarà la costruzione di organizzazioni parallele su territorio». In breve, «non ci sono usurpatori contro legittimi detentori». Ma il leader democratico non vuole immaginare né «un comitato elettorale, né un club di anarchici e filosofi». Bisogna rispettare «il voto di coscienza» (stoccata a Grillo, che invece espelle i dissenzienti), ma sulla fiducia occorre trovare una sintesi, dice punzecchiando Civati, che non votava la fiducia a Letta a suo tempo.   Un quadro, questo, nel quale il partito 'della Nazione' (la definizione data da Reichlin piace al premier) si appresta a varare l’Italicum. «Il Pd è un partito che vince per fare una legge elettorale in cui sia chiaro chi vince. Un passaggio chiave per l’Italia». Il ballottaggio sarà il punto di svolta della riforma, che subirà ancora modifiche. Renzi parla di premio alla lista piuttosto che alla coalizione. I suoi lo ascoltano e il segretario stigmatizza ancora chi lo ha accusato di aver sottovalutato il calo degli iscritti. Renzi snocciola le cifre senza particolare emozione, ricordando come variano gli iscritti quando c’è un congresso alle porte. Piuttosto, insiste, non si vive di rendita. E però comprende bene la necessità di tornare a fare fronte unico. Un inciso tra tanti: i parlamentari Pd devono essere educati a «resistere ai trolls» e a «Twitter», prima del prossimo voto per il Quirinale.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: