lunedì 20 agosto 2018
Intensa conversazione-spettacolo tra Carrón, il filosofo Natoli e il medico Melazzini. Il presidente di Comunione e Liberazione: l'enigma della sofferenza: Cristo è venuto per patire con noi
da sinistra: Mario Melazzini, Monica Maggioni, Salvatore Natoli e Julian Carrón (Gallini)

da sinistra: Mario Melazzini, Monica Maggioni, Salvatore Natoli e Julian Carrón (Gallini)

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Il Meeting è un posto in cui si sceglie come tema la felicità e poi, fra tutti i testimoni disponibili, si va a prendere Giobbe: il piagato, lo sventurato. Come mai?, viene da domandarsi. Perché? Sì, ecco. Perché? È la domanda delle domande e, fino a quando non si prova a dare una risposta, la felicità rimane un miraggio, un’illusione. Un argomento di dibattito, non un’esperienza come quella che può fornire la letteratura, la musica, l’arte tutta intera, ma anche quella particolarissima meraviglia che è l’uomo vivente nella sua nuda semplicità. La nudità di Giobbe, appunto, ossia quella di tutti noi, come ricorda Mario Melazzini al culmine del piccolo colpo
di scena che lo vede protagonista sul palco di Rimini Fiera. Senza mancare di rispetto a nessuno, questo su Giobbe è probabilmente l’incontro di cartello dell’edizione 2018. Quello al quale partecipa don Julián Carrón, per intenderci, ossia il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. Il successore di don Giussani, il sacerdote e biblista spagnolo che si è trovato a guidare il movimento non solo nella fase delicatissima seguita alla morte del fondatore, ma anche nel tumultuoso e appassionante “cambiamento d’epoca” del pontificato di Francesco.

Nel corso dell’incontro principale di questo pomeriggio, concepito come una conversazione-spettacolo sotto la conduzione di Monica Maggioni, don Carrón ha preferito dismettere i panni dello studioso per parlare con la schiettezza del padre spirituale. Non che non si avverta la sapienza dell’esegeta, sempre filtrata però dal ricordo personale, spesso dal botta e risposta tra chi si presenta con una domanda e si sente rispondere come un’altra domanda. “Ho ancora davanti agli occhi un ragazzo che chiedeva ragione dell’incidente di cui era rimasto vittima un amico – racconta –. Se uno sconosciuto ti dia uno schiaffo, tu che cosa fai?, gli chiesi. Gliene rifilo un altro, fece lui. Sì, ma se lo schiaffo te lo dà la mamma? Le chiedo perché lo ha fatto? Questo ha fatto il popolo di Israele: davanti al male non si è accontentato delle spiegazioni che circolavano all’epoca, non ha postulato l’esistenza di un principio malvagio da cui discende la sofferenza. Sapendo che tutto viene da Dio, di cui ha conosciuto la benevolenza, ha trovato il coraggio di chiedere ragione”.

“C’è qualcuno che ascolta il mio grido?”, la mostra su “Giobbe e l’enigma della sofferenza curata da Ignazio Carbajosa e Guadalupe Arbona, è la prima che il visitatore del Meeting incontra quando entra fra gli stand. Chiaro che, con queste premesse, la sala si riempie in pochi minuti e, quando finiscono i posti in piedi, ci si affolla davanti ai maxischermi sparsi per i padiglioni. La struttura portante dell’incontro è costituita dal dialogo tra don Carrón e Salvatore Natoli, il filosofo che più di ogni altro ha riflettuto sull’eccezionalità e necessità di Giobbe, confrontandosi da non credente con molti uomini di fede, da Carlo Maria Martini ad Angelo Scola. Ad accompagnare le riflessioni dei due interlocutori principali ci sono i testi interpretati da Massimo Nicolini e Paolo Summaria, un’essenziale antologia dell’indicibile nella quale ai versetti della Bibbia fanno eco le liriche di Luzi e di Montale, i resoconti annichiliti dalla Shoah redatti da Elie Wiesel e da Zvi Kolitz. Ma ci sono anche le note di Yazon Alsabbagh e il canto di Mirna Kassis, l’artista siriana che prende la parola per richiamare l’attenzione sulla sofferenza del suo popolo. È proprio sullo sfumare della sua voce che si rivela la presenza di Melazzini, il medico che pensava di aver perduto tutto dopo essere stato colpito da una grave malattia degenerativa, ma che adesso fa sua la professione di fede che Giobbe consegna a Dio al termine della contesa: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono”.

I discepoli di Emmaus, osserva Natoli, non si esprimono troppo diversamente. Il percorso che parte da Giobbe, aggiunge, porta
direttamente a Cristo, porta all’immagine commovente di questi due uomini che chiedono al Signore di fermarsi con loro perché si fa sera (“Ma per chi non arriva la sera?”, incalza Natoli) e lo riconosco allo spezzare del pane, in quel gesto di condivisione quotidiana grazie al quale l’Altro si manifesta nell’altro: nel simile, nel fratello.

“Il figlio di Dio non è venuto per distruggere la sofferenza, ma per soffrire con noi – conclude don Carrón –, per fare in modo che la nostra familiarità con Lui abbia la meglio su ogni sospetto che può nascere davanti al dolore”. Difficile, a questo punto, trovare sulla terra un uomo più felice di Giobbe.

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