sabato 17 dicembre 2022
Parla il presidente della Società italiana di medicina d'emergenza urgenza: situazione difficile, prospettive pessime. Non assegnati metà dei contratti di specializzazione in questo ambito
Pronto soccorso

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Che non sia come nelle serie tv lo si avverte già all’ingresso: decine di anziani, stretti nei cappotti, in attesa. Chi è più fortunato è sdraiato su una barella. Altri si accontentano di una sedia. In queste ore i reparti d’emergenza affondano mentre a governare gli accessi ci sono sempre meno medici. Secondo la Società italiana di medicina d'emergenza urgenza (Simeu) mancano 5mila camici bianchi. E le prospettive sono pessime: su 886 contratti di specializzazione in medicina d’urgenza per i giovani laureati nel 2022, 452 non sono stati assegnati.

Il nodo sta tutto qui: a fronte di 20 milioni di ingressi l’anno, l’organico arranca e non ce la fa a rispondere nemmeno alle domande dei parenti. I dati dicono che l’82% dei pazienti viene mandato a casa e solo il 14% è ricoverato nei reparti. La metà degli urgenti resta in attesa in media nove ore, quando gli standard internazionali parlano di sei, e 800mila vengono dimessi dopo almeno due giorni di permanenza.

Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza urgenza

Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza urgenza - Collaboratori

«Sono le persone che hanno bisogno di assistenza e non trovano risposte né sul territorio né in ospedale, a volte nemmeno in famiglia», racconta ad Avvenire Fabio De Iaco, presidente della Simeu e direttore del pronto soccorso dell’ospedale Maria Vittoria di Torino.

Presidente, la rete dell’emergenza è in crisi e l’influenza non aiuta.

Che ci piaccia o no, il pronto soccorso è l’unica rete di sicurezza che esista. Aiutiamo a compensare le diseguaglianze per chi ha meno possibilità ed è intrappolato nelle liste d’attesa. Il 50% delle diagnosi di tumore avviene in pronto soccorso. I casi di influenza stanno salendo ma non abbiamo ancora raggiunto il picco.

Si rivolge a voi anche chi non dovrebbe?

Sento dire che solo il 20% dei pazienti che si rivolgono al pronto soccorso è in emergenza vera. Magari fosse così. L’emergenza pura la conosciamo noi, non il paziente. Il cittadino che avverte un dolore toracico viene da noi e fa bene. Vediamo tantissime patologie considerate a basso valore, quelle dell’anziano magari con problemi assistenziali, non solo cronici, perché vive da solo.

Secondo il ministero della Salute i medici del pronto soccorso dovrebbero essere pagati di più. Basterebbe una busta paga più pesante?

Non è una questione di soldi. Ci sono elementi che influiscono sulla qualità della vita e sulla percezione di se stessi: il sovraffollamento, le persone in barella e il dover fronteggiare tutti i giorni le domande. Le nostre richieste coincidono con quelle dei pazienti. Non è demagogia, è la verità.

Anche per questo i giovani non scelgono medicina d’urgenza?

Credo per il disagio e per la qualità della vita, se si considera che sei notti e tre weekend al mese sono la norma in molte parti d’Italia. Sono pagati come i colleghi che terminano in reparto alle 14. La legge di bilancio del 2021 istituì una indennità per infermieri e medici, noi non l’abbiamo ancora percepita. Ci sentiamo dire tutti i giorni che siamo il biglietto da visita ma la verità è che quando le cose non vanno, dobbiamo dare risposte sulle quali per primi non siamo d’accordo.

Pazienti e parenti vivono spesso l’attesa senza ricevere informazioni.

Siamo solidali con i pazienti che protestano civilmente ma non abbiamo alternative. In pronto soccorso è impossibile governare tutto, è un posto in cui ognuno gioca con la propria coscienza e capacità. Ci sono situazioni che pretendono un intervento vitale che gli altri non possono percepire e, se ci sono poche risorse, siamo costretti a fare una selezione.

Il 17 novembre avete fatto un flash mob davanti al ministero.

Possiamo anche alzare la voce, ma non siamo in grado di fare uno sciopero perché siamo un servizio essenziale e sempre al minimo assistenziale. Quello che possiamo fare è lamentarci e continuare a lavorare. Qualcuno propone di rallentare, ma non è possibile perché nei verdi e nei bianchi ci sono dei problemi enormi e se qualcuno si comportasse così commetterebbe una negligenza. Non abbiamo possibilità. L’unica cosa che possiamo fare è dire che stiamo soffocando.

Che soluzione consiglia?

Per l’organico, l’unica strada è coinvolgere gli specializzandi in maniera corretta, senza sfruttamento. Esiste un contratto in cui diamo agli specializzandi le prerogative del dirigente medico adibito a funzioni crescenti. Questa soluzione è migliore rispetto alle cooperative che oggi stanno distruggendo i servizi. Poi i posti letto che sono insufficienti andrebbero rivisti.

Il Pnrr dovrebbe aiutare la sanità territoriale.

Negli anni abbiamo visto riversare una quantità spaventosa di risorse sul territorio e contemporaneamente salire le richieste in pronto soccorso. Bisogna mettersi tutti intorno al tavolo. C’è bisogno di una grande idea di Servizio sanitario che deve adeguarsi ai tempi. Serve la politica.

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