venerdì 22 gennaio 2010
La Procura di Milano ha chiuso l'inchiesta Mediatrade-Rti, nata da uno stralcio di quella principale Mediaset e riguardante presunte irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi. Ora il pm dovrà decidere se chiedere al gip il rinvio a giudizio (sbocco probabile) o l'archiviazione. Confalonieri: nessuna frode, tutto regolare. Ghedini: Piersilvio estraneo.
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Potrebbe essere l’ultima inchiesta a carico di Silvio Berlusconi, quella chiusa ufficialmente ieri dalla procura di Milano. Il pubblico ministero Fabio De Pasquale ha depositato l’atto di chiusura indagini del procedimento Mediatrade, "stralcio" nato dal filone principale sulla compravendita dei diritti tv Mediaset, che vede fra gli indagati il presidente del Consiglio, il figlio Pier Silvio (vicepresidente Mediaset), il presidente della società Fedele Confalonieri e l’uomo d’affari Frank Agrama.«Estendere l’incolpazione a Piersilvio Berlusconi – contrattacca il legale del premier, Niccolò Ghedini – colpevole evidentemente di essere figlio di Silvio Berlusconi, è del tutto sconnesso da qualsiasi logica e da qualsiasi realtà fattuale essendo già da tempo dimostrata la sua totale estraneità ai fatti contestati». E il premier, che non ha commentato ufficialmente le ipotesi accusatorie, ieri agli ospiti ricevuti a Palazzo Grazioli, secondo alcune agenzie di stampa, avrebbe affermato che «questa è la prova della persecuzione» contro di lui, annunciando un possibile «intervento forte» per «dire ciò che penso veramente».Secondo la procura, Silvio Berlusconi è stato il socio occulto dell’uomo d’affari Frank Agrama, usato come "testa di legno" allo scopo di sottrarre denaro a Fininvest e a Mediaset per nasconderlo in paradisi fiscali, occultandolo agli azionisti, al fisco italiano e a quello statunitense. Il pm De Pasquale sostiene infatti che Agrama acquistasse i diritti dalle case cinematografiche americane, e poi li rivendesse a Fininvest e poi a Mediaset a prezzi volutamente gonfiati, incassando la plusvalenza su conti esteri nella disponibilità degli stessi manager Mediaset. «Un’accusa vecchia e masticata», così l’aveva liquidata l’avvocato Piero Longo, uno dei legali del presidente del Consiglio. Di «assurdità» parla l’azienda di casa Berlsuconi. «I diritti cinematografi oggetto dell’inchiesta – si legge in una nota di Mediaset – sono stati acquistati a prezzi di mercato», precisando che tutto si è svolto «nella più rigorosa osservanza dei criteri di trasparenza e delle norme di legge». La documentazione a disposizione dell’azienda e dei magistrati «dimostrerà la totale estraneità di Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi».Le ipotesi di reato, a vario titolo, vanno dalla frode fiscale all’appropriazione indebita. Gli episodi contestati arrivano sino all’anno 2009. Sottinteso che secondo gli investigatori il Cavaliere avrebbe continuato a commettere reati anche durante il mandato da premier. Con la chiusura delle indagini il pm si riserva di decidere se chiedere al giudice delle indagini preliminari l’archiviazione del caso o il rinvio a giudizio degli indagati. E questa ultima sembra essere l’opzione verso la quale si rivolgerà l’accusa. In caso di rinvio a giudizio i tempi di prescrizione non dovrebbero mettere a repentaglio un eventuale processo di primo grado. Se venisse approvata anche alla Camera, nella attuale composizione, la nuova legge sul processo breve, il conto alla rovescia dei tre anni per una sentenza di primo grado partirebbe dal momento della presentazione della richiesta di rinvio a giudizio. Oltre a Silvio e Pier Silvio Berlusconi, ad essere indagati nell’ultimo capitolo di indagine sui diritti tv figurano Fedele Confalonieri, Giorgio Del Negro, il banchiere Paolo Del Bue, il produttore Giovanni Stabilini, Daniele Lorenzano, Roberto Pace, Gabriella Balladio e due cittadini cinesi con residenza Hong Kong. Oltre ai reati di appropriazione indebita e frode fiscale il pm ha contestato, a vario titolo, anche l’accusa di riciclaggio. Secondo il coordinatore nazionale del Pdl, Sandro Bondi, la decisione dei giudici milanesi rischia di far morire «il senso della giustizia e scomparire definitivamente la fiducia dei cittadini nella magistratura».
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