martedì 8 luglio 2014
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La presidente della seconda sezione penale del Tribunale di Milano, Teresa Ferrari da Passano, sceglie l’ordine logico, non quello alfabetico. E in tre minuti legge la sentenza che smantella l’impianto accusatorio di Fabio De Pasquale, il pm che si era mosso sulla scia del processo Mediaset, finito con la condanna definitiva di Silvio Berlusconi a quattro anni più l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Per primo «assolve» il figlio, Berlusconi Pier Silvio, poi Confalonieri Fedele (attuali vice presidente e presidente Mediaset). Poi tocca ad Agrama Frank, il vecchio produttore americano, presunto socio occulto. Altri «assolve» li snocciola per Gabriella Ballabio, Giorgio dal Negro, Daniele Lorenzano, ex dirigenti Fininvest. Per Paolo del Bue,banchiere svizzero, c’è un «difetto di giurisdizione». Infine, ecco la «prescrizione dal riciclaggio» per il manager Giovanni Stabilini e le due cinesi di Hong Kong, Patty  Chan Mei-Yu e Hsu May-Chun Chaterine, fondamentali nel gran gioco dell’oca col quale i dirigenti del Biscione, questa volta sotto la sigla Mediatrade, avrebbero gonfiato i prezzi d’acquisto di film delle grandi major e frodato il fisco italiano.Al primo "assolve" Niccolò Ghedini, che si è scelto l’ultima fila in un parterre di grandi avvocati, sembra più pallido di sempre. Poi trova un sorriso per le telecamere che lo stringono in un angolo, gli impediscono persino di chiamare immediatamente il suo cliente. «Assolti perché non costituisce reato», ripete due volte. Ma ci sono voluti tanti anni per ribadire la «totale estraneità di Piersilvio». Poi riprendendo fiato: «Sono convinto che anche Silvio Berlusconi dovesse essere assolto. Aspettiamo il ricorso alla Corte di giustizia europea».Per la verità anche l’ex Cavaliere era stato scagionato e molto tempo prima. Ma solo per Mediatrade. Era ancora il 12 ottobre del 2011 quando il gip Maria Vocedomini prosciolse solo lui e rinviò a giudizio tutti gli altri. Lo assolse perché l’allora ex presidente del Consiglio aveva da tempo abbandonato la guida delle aziende per dedicarsi a tempo pieno alla politica. Da allora, per gli avvocati, la conduzione del gruppo cambiò. Non era più quella dell’uomo solo al comando che decide o avalla tutto. L’accusa non ne ha voluto tener conto, ha continuato ad ascrivere l’evasione fiscale alla capofila Mediaset (la società consolidante) cui vengono conferiti i bilanci di tutte le altre società del gruppo (consolidate) su cui non sono stati mossi rilievi. Detto più semplicemente, per De Pasquale «Silvio Berlusconi benché prosciolto non poteva essere considerato sparito, innominabile in questa vicenda processuale cui ha dato inizio». Il figlio e Confalonieri «hanno cercato di non essere invischiati nel meccanismo fraudolento ma non l’hanno impedito».Più semplice la versione di Pier Silvio: «Non ho mai partecipato al mercato, non mi piace mischiare il prodotto e chi poi deve trattare. Mi occupavo al 100% solo di palinsesti. Tutto ciò che aveva a che fare con questioni di amministrazioni, societarie e bilancistiche non mi interessava minimamente». Anche dei trust esteri (per l’accusa servivano a occultare danaro) non sapeva nulla prima delle indagini: «Mi spiegarono che non erano mai stati attivati: ero abbastanza arrabbiato, mi sembrava una cosa assurda e mi sentivo violentato da queste inchieste». Ora è stato risarcito.
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