mercoledì 21 giugno 2017
Abbiamo chiesto ad alcuni giornalisti e collaboratori di Avvenire di svolgere le tracce proposte ai 500mila maturandi. Ecco i risultati
Maturità: ecco i nostri svolgimenti delle tracce di italiano
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Abbiamo chiesto ad alcuni giornalisti e collaboratori di Avvenire di svolgere, ciascuno per il proprio ambito di competenza, alcune delle tracce proposte dal Ministero ai 500mila studenti che si sono confrontati stamani con la prova di italiano, la prima degli esami di maturità.

TIPOLOGIA A, ANALISI DEL TESTO. Giorgio Caproni è l'autore scelto per l'analisi del testo con la lirica «Versicoli quasi ecologici» tratta dalla «Res Ami». Tutte le tracce sul sito del Ministero

di Pierangela Rossi

«Non uccidete il mare, / la libellula, il vento./ Non soffocate il lamento /(il canto!) del lamantino./ Il galagone, il pino: / anche di questo è fatto /l'uomo. E chi per profitto vile / fulmina un pesce, un fiume, / non fatelo cavaliere / del lavoro. L'amore / finisce dove finisce l'erba / e l'acqua muore. Dove/ sparendo la foresta /e l'aria verde, chi resta / sospira nel sempre più vasto / paese guasto: Come / potrebbe tornare a essere bella, / scomparso l'uomo, la terra».

Sfuggendo sia al rischio di afasia (autodenunciato forte in Giorgio Caproni) sia a quello della invasiva chiacchiera, il poeta un tempo maestro di scuola, va in «Res amissa» (cioè cosa perduta e ritrovata, uscito postumo negli anni Settanta, con la cura del filosofo Agamben) alla radice della sua poetica: cioè l’andare agli interrogativi ultimi, fino a smarcarsi di ogni futilità («Dio, perché non esisti?» aveva detto). Nel testo proposto agli studenti della maturità, dei «versicoli», un suo sermo humilis, così com’era il carattere, un testo che è un miracolo di equilibrio tra contenuto e forma, settenari, novenari, enjambements, assonanze e allitterazioni, eccetera, fino a fare di due (contenuto e forma) una cosa sola, il poeta anticipa rispetto al tempo storico, un interrogativo divenuto oggi condiviso da molti. Davanti al rischio di una guerra atomica, si va ora all’essenza delle cose (almeno i più avvertiti).

Giorgio Caproni nei «versicoli» propone una natura alterata irreparabilmente dall’uomo. Una ferita che, anche dopo l’enciclica di papa Francesco, è divenuta esperienza quotidiana di smarrimento. Stanno uccidendo il mare e le foreste: le minute creature di un Eden soffocano ormai impietosamente. C’è però il limite umano di non vedere vie d’uscita se l’unica «salvezza» è la scomparsa dell’uomo dalla Terra. Dunque, un pessimismo fatale come fondamenta che si sbriciolano. Ma si sa che la poesia, dopo il dono del primo verso è tutta un lavorìo, e cantare e comporla musicalmente (il poeta aveva studiato ance il violino) è il compito della poesia, del poeta, anche perché «L'amore finisce dove finisce l'erba e l'acqua muore».

Il primo verso è «Non uccidete il mare»: perentorio, ultimativo, unisce sentimento e ragione. È un testo, anche, profetico: davanti alla dittatura del denaro si sfigura la Terra tutta. Fino ad auspicare la scomparsa dell’uomo: allora sì che sarebbe bella la Terra con le piccole creature, il galagone, il lamantino… Dunque un testo che interroga la nostra coscienza. Un contraltare laico e sintetico al Cantico delle creature di san Francesco. Ormai sembra dirci il poeta, non ci sarebbe più il lieto fine, la cruda realtà di questo mondo ha abolito anche le fiabe. Salvare il pianeta blu e verde è un imperativo per tutti, anche per sopravvivere e per le future generazioni. Infine, è tempo che i poeti parlino per tutti, a nome di ognuno.

TIPOLOGIA B, SAGGIO BREVE O ARTICOLO DI GIORNALE.

1) «La natura tra minaccia e idillio nell'arte e nella letteratura» è lo spunto da cui parte la traccia artistico-letteraria: gli autori proposti sono Giacomo Leopardi con «Dialogo della natura di un islandese» tratto da le «Operette Morali»; «I limoni» di Montale, da «Tutte le poesie»; «Il lampo» di Giovanni Pascoli, della raccolta «Poesie» e la lettera del 19 e 20 febbraio tratta da le «Ultime lettere di Jacopo Ortis» di Ugo Foscolo. Quanto ai quadri, sono stati proposti «Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi» di William Turner e «Idillio primaverile» di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Tutte le tracce sul sito del Ministero

di Roberto Carnero

Anche la seconda traccia della prova di Italiano (tipologia B, saggio breve di ambito artistico-letterario) verte sul tema della natura: La natura tra minaccia e idillio nell'arte e nella letteratura. Argomento di scottante attualità, se pensiamo al tema dei cambiamenti climatici e di come - appunto - la natura rischi di trasformarsi, in gran parte a causa dei comportamenti sconsiderati dell'uomo, in una presenza minacciosa per la sussistenza della vita stessa sul pianeta. Sono questioni che i maturandi hanno con molta probabilità ben presenti: l'uscita dall'accordo di Parigi decisa tra mille polemiche dal presidente degli Stati uniti Donald Trump ha generato, nelle scorse settimane, un dibattito politico e mediatico che di certo non è sfuggito ai ragazzi.

È vero che la traccia offre materiali artistici (quadri di William Turner e Giuseppe Pellizza da Volpedo) e letterari (passi delle opere di Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli ed Eugenio Montale) dell'Ottocento e del primo Novecento, ma in questa tipologia di prova si chiede allo studente di non limitare lo svolgimento a una sintesi o a una rielaborazione dei documenti presentati, bensì di arricchire la trattazione con riflessioni personali e riferimenti all'attualità, cosa che i commissari d'esame in genere apprezzano.

Del resto, la base di partenza costituita dai brani letterari è rappresentata da testi molti noti, di quelli cioè che non mancano su alcuna antologia scolastica: le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo, il Dialogo della Natura e di un Islandese di Leopardi, Il lampo di Pascoli e I limoni di Montale: c'è, in verità, un autore "fuori programma", Foscolo, che viene affrontato alla fine del
quarto anno, ma c'è da sperare che qualcosa, da una classe all'altra, venga ricordato.

Nel leggere questa traccia, perciò, i candidati avranno respirato, già da subito, una certa aria di famiglia, quel riconoscimento di ciò che è noto, di ciò che si sa perché lo si è studiato, che dà fiducia e aiuta a placare l'inevitabile ansia legata a una prova così importante quale, nonostante tutto, continua a rimanere l'esame di maturità.

2) Quella di ambito socio-economico mette al centro il rapporto fra «Nuove tecnologie e lavoro». Come testo il Miur ha proposto «Allarme Onu: i robot sostituiranno il 66% del lavoro umano» di Enrico Marro, pubblicato su Il Sole 24 Ore, «Industria 4.0, contrordine: i robot creano lavoro» di Federica Meta, da Corecom.it, «Il lavoro nel futuro: i robot saranno una minaccia o un'opportunità?» di Stefania Medetti. Tutte le tracce sul sito del Ministero

di Francesco Riccardi

È un futuro distopico, come raccontato in tanti film, quello che attende i ragazzi che oggi hanno affrontato la prima prova della maturità, trovandosi proprio a ragionare su come il progresso tecnologico minacci il loro avvenire lavorativo? La robotica e l’internet delle cose, cioè il collegamento in rete delle macchine, il progredire delle applicazioni di intelligenza artificiale, che permette alle stesse macchine di auto-apprendere, stanno effettivamente cambiando profondamente produzione e servizi. E, se ogni progresso tecnologico nella storia dell’uomo nel medio periodo ha finito per creare più posti di lavoro di quanti non ne avesse distrutti, dai primi anni 2000 questa certezza è stata messa in discussione dall’impennarsi della curva della produttività mentre quella dell’occupazione resta drammaticamente piatta, come hanno osservato per primi Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee. Nasce da qui l’allarme lanciato dall’Onu – ricordato nella traccia del tema - sul 66% di posti di lavoro che verranno sostituiti dall’impiego di robot e software in grado di svolgere le stesse mansioni finora appannaggio non solo di operai ma sempre più di impiegati e quadri intermedi. Negli ultimi anni, in effetti, sono stati molti gli studi di diverse agenzie che hanno calcolato il rischio di sostituzione di alcune professioni da parte delle macchine: a cominciare dai contabili, gli addetti ai trasporti, alle industrie di trasformazione, all’agricoltura e al commercio, fino al management in generale.

Proprio questa serie di analisi piuttosto pessimistiche, però, hanno finito per indicare le due vie di uscita per evitare il collasso dell’occupazione: da un lato puntare su una migliore – e soprattutto continua - formazione in ambito scientifico e tecnologico per imparare a progettare e a governare software e macchine. Dall’altro, più ancora, recuperare e puntare su ciò che i robot non potranno mai possedere: l’umanità. Sono la nostra creatività e più ancora la capacità di essere empatici con il prossimo, il nostro slancio solidale, l’andare anche oltre il calcolo delle possibilità e delle convenienze - quando si tratta ad esempio di soccorrere o di curare o di insegnare ed educare - che le macchine non avranno mai e che è fondamentale in tante professioni. Lasciamo pure che in futuro i robot ci allievino le fatiche, che i software ci risolvano i problemi e che le auto ci portino da sole dove dobbiamo andare. E riserviamo a noi uomini i lavori più belli: creare e prendersi cura l’uno dell’altro. In fondo è quello per cui siamo nati e che sappiamo fare meglio da milioni di anni: il futuro può essere utopico.

3)«Disastri e ricostruzione» è la riflessione su cui punta la traccia di ambito storico-politico, con Giorgio Boatti, Alvar Gonzalez-Palacios e il capitolo XXV de «Il Principe» di Niccolò Machiavelli. Tutte le tracce sul sito del Ministero

di Paolo Viana

Forse, tra cinquant’anni avremo sostituito i nostri paradigmi e la capacità di superare un disastro e ricostruire la vita di tutti i giorni come se nulla fosse successo si nutrirà di altri esempi: se mai dovesse proseguire la tragica serie dei terremoti, che sconvolgono il Centro Italia, probabilmente ricorderemo la reazione delle genti emiliane al sisma del 2012 come un esempio di resilienza sociale. Tuttavia, oggi, la reazione di Firenze e del Paese all’alluvione del 1966 rimane un punto di riferimento per chiunque voglia valutare la ricostruzione di una regione colpita da un disastro naturale.

«L’acqua aumentava […]: spaventoso, fango ovunque e un terribile odore di marcio e di benzina, vetri rotti, bottiglie, migliaia di libri disfatti nell’acqua sudicia…». Il racconto Alvar Gonzalez Palacios sul Il Sole 24 Ore del 28 ottobre 2016, nell'imminenza del cinquantesimo anniversario, ha rinnovato il ricordo dell’Arno che ruppe gli argini chiamando l’intero Paese a salvare la propria identità e il pianeta a soccorrere la propria Storia. Le parole dello scrittore cubano ci hanno fatto respirare, di nuovo, i miasmi di quella tragedia. Quelli limacciosi di Firenze, però, non dovettero essere più pungenti dell’odore di morte che avremmo respirato, decenni dopo, a Soverato, quando il Paese si convinse a darsi una normativa contro il dissesto idrogeologico; o dell’acre puzzo delle malte povere di Onna, sbriciolatesi nella terribile notte aquilana del 2009. Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce e infatti la ricostruzione non ha odore, perché cancella quello della morte. Quando fu ricostruita, in una dozzina d’anni, Montecassino, come ricorda Giorgio Boatti su La Repubblica, tutto avvenne «con una tempestività che oggi sembra incredibile ma che dice parecchio sulla vitalità di un’Italia appena uscita dal conflitto e decisa non solo a rimettere in piedi la produzione industriale ma determinata a conservare e valorizzare il suo patrimonio culturale». La motivazione che ci porta a contrapporre la volontà al destino, il quale, come ha scritto Macchiavelli «dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resisterle», non si lascia certo soffocare dalla puzza del disastro. Anzi, arriva a compiere autentici miracoli, come far rivivere una cinquecentina affogata nel fango: «La natura – scrive infatti Gonzalez Palacios - sa distruggere infinite cose ma tutte possono essere riparate dagli uomini».

4) Tra i documenti proposti per il saggio tecnico-scientifico, che verte su «Robotica e futuro tra istruzione, ricerca e mondo del lavoro», ci sono il testo «All'indire un incontro sulla robotica educativa» di Fabiana Bertazzi, citazioni dal sito web della Scuola universitaria superiore «Sant'Anna» di Pisa e «Robot e intelligenza artificiale, i deputati Ue chiedono norme europee» di Alberto Magnani. Tutte le tracce sul sito del Ministero

di Paolo Ferrario

Se il futuro è dei robot, la governance e la responsabilità del sistema deve però restare saldamente nelle mani dell’uomo. La «responsabilità civile delle macchine» e la «creazione di uno status giuridico per i robot» sono tra gli aspetti principali della regolamentazione di un mercato che, secondo uno studio McKinsey, ha un impatto economico atteso di 4,5 trilioni di dollari entro il 2025. A scrivere le regole di un settore in continua espansione è impegnato da tempo anche il Parlamento Europeo, che ha attivato il progetto Robolaw, tra l’altro coordinato da un’italiana, la docente di Diritto privato della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, Erica Palmerini. La questione centrale è la regolazione dell’utilizzo di queste tecnologie che sono macchine al servizio della persona e, secondo il parere di esperti, come il gruppo di lavoro che si riconosce nella Scuola di robotica, non possono essere considerate “persone elettroniche” responsabili delle proprie azioni. Responsabilità che deve restare in capo a chi progetta, produce e programma i robot e che deve poter essere chiamato a rispondere degli eventuali danni arrecati dalle macchine.

L’utilizzo dei robot apre anche un fronte legato alla tutela della privacy e della gestione dei dati personali di cui le macchine entreranno in possesso e che dovranno essere protetti da utilizzi impropri. Il tema riguarda soprattutto l’impiego dei robot nel lavoro di cura delle persone, soprattutto anziani e disabili. In questo senso è senz’altro opportuna l’Agenzia europea per la robotica e l’intelligenza artificiale, il cui lancio è materia di discussione tra i deputati di Bruxelles. Un organismo che dovrà avere anche il compito di monitorare gli sviluppi di un mercato enorme con implicazioni dirette sulla vita delle persone.

TIPOLOGIA C. TEMA DI ORDINE GENERALE. La traccia di ordine generale ha per oggetto il tema del progresso, sia materiale che civile, e sono state proposte a ragazze e ragazzi delle linee orientative per sviluppare il loro testo a partire dall'articolo «Per migliorarci serve una mutazione» di Edoardo Boncinelli pubblicato su il Corriere della Sera il 7 agosto 2016. Gradite, per quest'ultima tipologia, commenti personali e riflessioni critiche. Tutte le tracce sul sito del Ministero

di Francesco Ognibene

Cosa rende una società più «civile»? E in cosa consiste il «progresso»? È sulla risposta a quesiti simili, e sulla condivisione almeno generale dei princìpi che la ispirano, che si costruisce una comunità umana capace di aggregare e non disperdere le relazioni che la mantengono unita. Proprio la crescente difficoltà di identificare un terreno comune, valori di riferimento riconosciuti dalla generalità dei cittadini come tali, rende oggi sempre più complessa una definizione di ciò che fa progredire davvero la collettività, e ciascuna persona in essa.

A moltiplicare l’incertezza è poi la progressione geometrica delle tecnologie e del loro impatto su abitudini, stili di vita e mentalità: illudendoci di poter assecondare ogni nostro desiderio e risolvere qualunque problema, fanno perdere di vista la responsabilità dei comportamenti individuali lasciando credere che la sola dimensione di progresso che realmente conta sia quella tecnico-scientifica, dalla comunicazione alla mobilità, dalla salute alle stesse origini della vita. La questione è assai più concreta di quanto possa sembrare. Impercettibilmente, stiamo cedendo i comandi della nostra esistenza a sistemi digitali governati da software che, nella loro forma più estrema (ma che sta ormai diventando di uso corrente), prendono la forma di apparati di intelligenza artificiale cui ci dicono che presto affideremo il controllo di pezzi della nostra quotidianità.

Una visione apocalittica? Chi non crede a questa prospettiva mediti soltanto sull’irruzione degli smartphone nella vita di ciascuno di noi: dieci anni fa appena nasceva il primo iPhone, e pareva una stranezza, già oggi quasi nessuno di noi riesce a immaginare la propria giornata senza la protesi elettronica compulsata d’istinto a ogni passo. La delega digitale, e ancor prima l’appalto al progresso nella sua esclusiva accezione indotta dall’incantamento miracolistico della tecno-scienza, induce dunque a credere che il governo della coscienza morale sulle azioni sia compresso ormai in un ruolo accessorio, là dove la potenza della macchina non riesce ad arrivare.

Ma nessun progresso è tale se non è guidato da una volontà ispirata a ciò che la rende più umana, a cominciare da ciò che la tecnologia mette più a rischio: la consapevolezza di vivere in una comunità capace di relazioni solidali, e non da individui isolati, padroni dei comandi elementari delle nostre terminazioni tecnologiche ma, forse, smarriti al cospetto delle loro incerte promesse di felicità.

TIPOLOGIA D, TEMA STORICO. Il miracolo economico degli anni '50 e '60 è argomento del tema storico, con Paolo Bevilacqua e il suo «Uomini, lavoro, risorse» in Lezioni sull'Italia repubblicana e «Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi» di Paul Ginsborg. Tutte le tracce sul sito del Ministero

di Marco Girardo

Coraggio, "fame" e una politica industriale lungimirante sono riusciti a trasformare nel secondo dopoguerra una giovane nazione sostanzialmente agricola e per di più devastata dalle bombe nella settima potenza economica globale. Il "miracolo italiano" degli anni Cinquanta e Sessanta ha determinato per la prima volta nella storia del nostro Paese, attraverso una crescita poderosa, un miglioramento significativo della qualità della vita e dei consumi, nonché una solida interconnessione con il commercio internazionale.

Tra il 1958 e il 1963 il Prodotto interno lordo aumentò di oltre sei punti percentuali. Gli elementi caratterizzanti della nostra "golden age" furono il basso costo della manodopera, una manodopera anche "giovane" sotto il profilo demografico, e la capacità delle imprese di imitare le innovazioni realizzate altrove. Queste tecnologie consentirono infatti un incremento vertiginoso della produttività - lo stesso "miracolo" non ci sarebbe riuscito invece con la rivoluzione elettronica prima e digitale poi.

Lo Stato seppe indirizzare in quei vent'anni il dinamismo del settore privato, anche attraverso i conglomerati pubblici, verso la manifattura, in particolare nei campi dell'automotive e degli elettrodomestici, favorendo la nascita dell'industria energetica, di quella chimica e siderurgica, che a loro volta hanno consentito lo sviluppo di un'ecosistema di piccole e medie imprese. Negli stessi anni venne realizzato lo scheletro delle infrastrutture italiane, sancendo per altro il primato del trasporto su gomma rispetto a quello su ferro o aereo, eredità che risulta oggi purtroppo più un limite che una risorsa. La crescita consentì infine alle finanze pubbliche di trasformare l'assistenza ai poveri in un programma di Stato sociale (Welfare state) che, in alcuni comparti, ad esempio la sanità, è diventato fra i primi al mondo per capacità di coprire l'intera popolazione. Il miracolo economico ci ha consegnato anche alcune riforme da avviare, a partire da un sistema di regole per far funzionare meglio il mercato. Riforme in molti casi successivamente abbozzate, ma non realizzate fino in fondo.

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