venerdì 16 aprile 2010
La precisazione dei giudici: «Si deve tener conto dell’evoluzione sociale ma l’interpretazione dell’articolo 29 non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma costituzionale».
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    Nessuna illegittimità costituzionale della normativa del codice civile che prevede esclusivamente il matrimonio tra un uomo e la donna. Lo affermano le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale sulle unioni gay pubblicate ieri. Quella norma infatti trova fondamento nell’articolo 29 della Costituzione. Il nostro ordinamento in materia non può essere ritenuto in contrasto con la Carta fondamentale, anche perché non si riscontrano neppure discriminazioni delle unioni omosessuali, in quanto esse non possono essere considerate omogenee al matrimonio. Dunque la Consulta respingere nettamente come «infondate» le tesi delle tre coppie gay, secondo le quali dal principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione e dalla definizione del matrimonio data dal 29, discenderebbe una sorta di obbligo alla introduzione delle nozze gay. I costituenti, elaborando la formulazione di "società naturale", evidenzia la Consulta, «discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile». L’articolo 29, perciò, intese «riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto». Dunque «il precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica – osserva la sentenza redatta dal giudice Alessandro Criscuolo –, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa». Si deve tener conto dell’evoluzione sociale, argomenta "Il giudice delle leggi", ma l’interpretazione dell’articolo 29 «non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma». Peraltro il matrimonio e la sua finalità procreativa, assente nell’unione omosessuale, hanno «rilievo costituzionale». Non è casuale che la nostra Carta fondamentale «dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli» nell’articolo 30. Dunque a riguardo del cuore delle questioni sollevate, famiglia, uguaglianza giuridica e quindi diritti fondamentali dei cittadini, la risposta della Corte è netta ed inequivocabile: le tesi delle coppie gay non hanno nessun fondamento nella Costituzione.La Consulta ha dichiarato poi «inammissibile» il ricorso basato sull’articolo 2 della Carta che riguarda i diritti dell’uomo anche nelle formazioni sociali. Infatti la sentenza sostiene che tra queste ultime si possono annoverare anche le unioni gay, ma si deve escludere che tale riconoscimento passi attraverso una equiparazione al matrimonio. Quindi «spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette». Ugualmente «inammissibile» viene dichiarato il ricorso riferito al primo comma dell’articolo 117, che vincola lo Stato al rispetto dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. La sentenza rimarca che l’articolo 9 della Carta di Nizza nell’affermare il diritto a sposarsi rinvia alle legislazioni nazionali e alla discrezionalità del Parlamento. Tra l’altro la Carta specifica che quella norma «non vieta né impone» il matrimonio omosessuale.Da notare soprattutto che la Consulta non ritiene opportuno affrontare i problemi che, recependo la Carta di Nizza, l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea, pone agli ordinamenti degli Stati membri. Cita, tuttavia, l’articolo 51 della Carta che fa un esplicito riferimento alla sussidiarietà nell’applicazione delle sue norme. Un principio che di recente, nell’incontro di Interlaken in Svizzera, è stato raccomandato da rappresentanti dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo nei suoi pronunciamenti a riguardo di materie eticamente sensibili, come vita, famiglia, tradizioni religiose.A giudizio di Barbara Pollastrini, comunque, le motivazioni della sentenza confermerebbero «la responsabilità» del Parlamento nel dare una legge sui diritti e i doveri delle coppie di fatto, omosessuali e non. Ma la leghista Laura Molteni osserva: «Se da un lato l’articolo 29 della Costituzione sancisce: la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, dall’altro va tutelato il diritto naturale del minore ad avere una mamma ed un papà. Per questo ben vengano le sentenze come quella della Corte costituzionale».
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