martedì 9 febbraio 2010
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Due vite parallele, quelle di Eluana e Massimiliano, alme­no per un lungo tratto: han­no entrambi 21 anni quan­do un incidente d’auto, a pochi mesi l’uno dall’altro, interrompe il corso norma­le della vita e spazza via pensieri, azioni, speranze. Per entrambi è l’inizio del lungo sonno, chiusi in un corpo che sembra non co­municare più nulla a nes­suno. Poi nella vita di Max succede qualcosa e tra i due giovani è il bivio: «Dopo quasi 10 anni di stato vege­tativo, la sera di Natale del 2000 Max ha sollevato la mano e ha fatto da solo il gesto che gli avevo sempre fatto fare io, il segno della Croce. Credevo di essere impazzita» . Così Lucrezia Tresoldi, la mamma che, con il marito Ernesto, ave­va passato giorni e notti at­torno a quel figlio, parlan­dogli, muovendogli braccia e gambe, stimolandolo sen­za sosta. Qual era stata la diagnosi? Il cervello era così lesiona­to che i medici escludevano nel modo più assoluto qual­siasi ripresa anche parzia­le. Un neurologo fece un paragone: Max era come u­na centralina elettrica, se tagli i fili non ci sarà mai più alcun contatto. Sulla cartel­la clinica scrivevano ogni giorno ' non collabora'. Non vedevano segni di ri­sposta, loro. Perché, voi li vedevate? Io un giorno colsi il movi­mento di un mignolo. Ma i neurologi dissero che era un riflesso condizionato, che mi illudevo. Negli anni quante volte ci hanno dato degli illusi o dei visionari... Oggi i fatti vi danno ragio­ne, ma in effetti non era fa­cile credervi, allora. Il fatto incredibile è che quelle lesioni cerebrali Max le ha ancora, come rileva la risonanza magnetica, il che prova quanto poco si sap­pia del cervello umano. Per tanti anni nessun se­gno di coscienza. Poi? Dopo nove anni di stato ve­getativo abbiamo visto un sorriso. I neurologi soste­nevano che era uno spasmo involontario, ma la cosa si ripeté e mai per caso, sem­pre quando gli amici di Max lo venivano a trovare. Un anno dopo, quando nostro figlio si è risvegliato, ci ha spiegato quei sorrisi... Du­rante quei lunghi dieci an­ni Massimiliano era sempre stato ' qui', con noi, solo che non poteva comuni­carlo. Al risveglio ricordava perfettamente chi in passa­to era venuto a trovarlo, rac­contava episodi avvenuti in camera sua... Quanto conta che lo ab­biate portato a casa e la fa­miglia gli sia sempre stata accanto? Gli studi dimostrano che lo stimolo maggiore per que­sti casi è proprio il contatto con i genitori. Anche l’in­fermiere più bravo non po­trà mai trasmettere le sen­sazioni, i rumori, gli ' odo­ri' della famiglia, soprat­tutto l’amore, che sul cer­vello ha effetti molto forti. Quando lo abbiamo porta­to a casa, dopo 8 mesi di o­spedali e di sondino, aveva già ricevuto l’estrema un­zione, non poteva più de­glutire, pesava 39 chili, era tutto piagato, aveva 40 di febbre. Noi a casa gli abbia­mo tolto il sondino e, cuc­chiaino per cucchiaino, lo abbiamo imboccato con i frullati, a ogni sorso gli muovevamo il collo perché imparasse il movimento giusto. Ci sono voluti mesi. Il giorno prima della mor­te, l’équipe di Udine ha provato a far bere acqua a Eluana per dimostrarne l’incapacità. Una follia: a una persona in agonia? E con i liquidi Max si strozza anche oggi che mangia spaghetti e cotolet­te. Comunque ci vogliono mesi e mesi di esercizio co­stante, dopo anni di sondi­no. Max accetta la sua disabi­lità? È un ragazzo felice e rin­grazia Dio se tre medici su cinque si opposero al di­stacco dalle macchine. Da un mese a questa parte sta pronunciando sempre nuove parole e ora ha il so­gno di camminare, grazie a uno speciale ausilio che però aspettiamo dall’Asl... Lo vedremo mai? Che aiuti ricevete dalla Asl? Tre ore a settimana di fisio­terapia, cioè zero. Ci siamo comprati il letto antidecu­bito, l’aspiratore per il ca­tarro, la palestra. Solo da un anno ci possiamo permet­tere il logopedista, ma quanti anni fa Max avrebbe parlato, se le sedute fosse­ro iniziate prima? Perché nessun genitore in questo anno ha seguito la via aperta da Englaro? Tutti combattono per otte­nere gli aiuti e garantire a questi figli le cure cui han­no diritto, non per farli mo­rire. Magari avessimo tutti le suore Misericordine.
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