«Viviamo una fase crepuscolare della democrazia. C’è una situazione di marasma tale da non riuscire a capire in che modo la politica possa ritrovare la sua nobiltà». Al telefono Mino Martinazzoli con voce ferma e pacata fotografa quanto sta avvenendo in questi giorni nel teatro della politica italiana. Scontri istituzionali tra politici e magistrati, leggi sulla giustizia volute a tamburo battente dalla maggioranza che sembrano rispondere all’unico scopo di evitare alcuni processi a Berlusconi, manifestazioni di protesta arrivate fino alla soglia del Parlamento, lancio di monetine contro alcuni esponenti politici come negli anni “caldi” di tangentopoli. Una situazione che fa a pugni con quella concezione “temperata” della politica che Mino Martinazzoli ha sempre perseguito, anche con qualche civetteria letteraria, nella sua attività parlamentare, nella guida del Partito Popolare, “stritolato” dal bipolarismo che ha segnato questa lunga transizione del nostro sistema politico. «In tanti anni di impegno politico - ci dice - ho assistito a contrapposizioni anche dure tra i partiti; ho ascoltato parole roventi tra i leader politici, ma non ho mai visto la politica raggiungere i livelli registrati in questi giorni. La politica dovrebbe richiedere stile, sobrietà di linguaggio, rispetto reciproco, invece siamo arrivati ad una lite continua a livello del turpiloquio peggiore. Il Parlamento, dove la competizione dovrebbe esprimere i momenti più alti sui problemi di politica interna e internazionale che riguardano il Paese e nel quale le ragioni degli uni e degli altri dovrebbero essere confrontate, mostra invece la decadenza della politica. Non siamo ad una transizione non ancora superata; siamo al bradisismo. E tutto questo è molto preoccupante».Autorevoli quotidiani scrivono a questo proposito di «spettacolo al di sotto della decenza», di un sistema politico sull’orlo del precipizio». Lei che ne pensa? Ed hanno ragione quanti ritengono che a creare questo clima ci sono responsabilità certo della maggioranza che non vuole i processi, ma anche l’opposizione vi ha in qualche modo contribuito?«Ci sono alcuni comportamenti dell’opposizione che possono aver alimentato questa incomunicabilità. Ho assistito con un certo disgusto a una specie d’assedio al Parlamento con leader dell’opposizione che arringavano la gente. Ma la responsabilità maggiore è indubbiamente della maggioranza. C’è infatti, come sulla giustizia, una stretta relazione tra le decisioni di Berlusconi e quelle della sua coalizione che finisce con il castigare tutta la politica. Per questo parlo di una situazione di marasma che non sa come superare».In questa situazione i cattolici impegnati in politica sembrano spaccati acriticamente pro o contro Berlusconi ma soprattutto appaiono del tutto afoni. Non hanno nulla o ben poco da dire. Perché? «Mi pare di poter affermare che esiste non da oggi una insignificanza della tradizione alla quale ci richiamiamo. Potremmo parlare di un ciclo ampiamente concluso. C’è da troppo tempo un cattolicesimo politico in esilio che non mi sembra riesca a far intravedere una possibilità di ripresa. I nostri talenti, e non erano pochi, forse li abbiamo spesi tutti e quindi non siamo più capaci di trovare la forma del nostro essere in politica, una forma autorevole, originale. In questa situazione non è sufficiente né rimpiangere né riprendere».Hanno ragione quindi quanti ritengono che i cattolici debbano rinunciare alla politica o scegliere addirittura anche l’Aventino parlamentare, come qualche politico sembra suggerire?«Gli Aventini non hanno mai portato frutti. La latitanza è sempre stata sterile. Quanto alla sua domanda mi consenta di rifarmi al mio Manzoni il quale ricorda a noi cristiani che anche nelle situazioni peggiori si può sempre ricominciare. La nostra tradizione ci dice che la politica conta ma la vita conta di più. Per questo sostengo con Eliot “Per noi non c’è che il tentare/ il resto non ci riguarda”».