mercoledì 31 luglio 2013
​Parla il ministro della Difesa, di ritorno da due giorni in India: «Chiedono che l'Italia non si dimentichi di loro». «Stanno bene, ma stanno vivendo una lunga e ingiustificata mortificazione. Ora però sono certo di una soluzione equa e rapida».
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«Sono convinto della loro innocenza e non da ieri. Ora però sono più convinto del fatto che riusciremo a dimostrarlo, e che presto i nostri marò potranno tornare a casa». Mario Mauro, accompagnato dall’ambasciatore Daniele Mancini, è stato per due giorni - domenica e lunedì - a far visita ai fucilieri della Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone trattenuti in regime di detenzione con l’accusa di omicidio presso la nostra ambasciata a New Delhi. Il ministro della Difesa aveva evitato di diffondere i particolari di questi incontri, presenti anche i familiari, volendo riferire, aveva spiegato Mauro, prima al presidente del Consiglio Enrico Letta e al ministro degli Esteri Emma Bonino. «Ora l’ho fatto...». Una visita per dire innanzitutto che i due marò non sono soli nella loro ormai interminabile battaglia legale. Per loro sono al lavoro, praticamente senza sosta, due avvocati dello Stato, un ufficiale della Marina con competenze giuridiche in diritto internazionale e della navigazione, ma anche uno staff di avvocati indiani che fa capo a uno studio legale locale di primo livello. In Italia a seguire il caso, invece, c’è una struttura permanente facente capo alla Farnesina con funzionari della Difesa e della Giustizia.Ministro, in che condizioni li ha trovati, innanzitutto?Il regime cui sono sottoposti è molto dignitoso, presso la nostra ambasciata godono di grande libertà e hanno il conforto dei familiari. Tuttavia parliamo di persone presunte innocenti, che noi - come loro - sappiamo esserlo, che non possono che vivere come una mortificazione il loro dover permanere lì a disposizione in ogni momento dell’autorità giudiziaria indiana e non nel loro luogo di servizio, a Brindisi, con l’impossibilità di recarsi a casa.Che cosa ci può raccontare del colloquio, che cosa le hanno chiesto Latorre e Girone, se può rivelarcelo?Più di tutto chiedono di non essere dimenticati. Lo chiedono al Paese («le gente non si dimentichi di noi», mi hanno detto) prima ancora che alle autorità politiche, sebbene - è chiaro - hanno apprezzato il segnale che con la mia visita abbiamo voluto dare.In verità si era colto un calo di attenzione sulla vicenda...Il presidente del Consiglio, fin dal nostro insediamento, su questa come su altre delicate vicende internazionali ha imposto una linea di coordinamento operativo, ma soprattutto comunicativo, evitando di fare dichiarazioni a effetto che al posto di favorire l’esito potrebbero rischiare di allontanarlo. Ma questa nostra prudenza comunicativa non deve ingenerare idee sbagliate, perché i nostri sforzi sono tutti concentrati sull’operatività, avendo piena fiducia nel lavoro che i legali insieme alla nostra ambasciata stanno portando avanti.È stata criticata l’insistenza sulla giurisdizione, che può aver dato l’idea di una debolezza di argomenti nella linea difensiva.Sulla strategia difensiva non è nostro compito entrare, posso solo dire che siamo tutti certi della loro innocenza, e siamo ora più fiduciosi in una soluzione equa e rapida.Che cosa è cambiato?È cambiato il clima innanzitutto, e di questo bisogna dar atto al lavoro svolto da Staffan De Mistura. Uno sforzo che, siamo sicuri, potrà favorire l’accertamento della verità in un clima più disteso e sgombro da prevenzioni. Ma è cambiata anche la situazione processuale, con la riapertura della fase istruttoria che ha consentito di ripartire da zero su nuove basi.Che cosa si può fare in Italia, a sostegno di questo caso?Mantenere desta l’attenzione, più di quanto stia avvenendo, ed è questo che mi hanno chiesto, più di tutto, nei nostri incontri, Girone e Latorre.
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