sabato 29 settembre 2018
Intervista all'ex ministro: la reputazione di Tria gravemente ferita. E ai Dem serve un nuovo progetto per le Europee
Carlo Calenda (Ansa)

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«Sarò a piazza del Popolo perché serve una reazione forte, visibile, decisa. Questo governo sta forzando i limiti. E lo sta facendo in modo cosciente. Siamo fuori dall’ordinario. Siamo di fronte a un gigantesco rischio di natura istituzionale e finanziaria». Sfidiamo Carlo Calenda con una domanda netta: l’Europa ci boccerà la manovra? L’ex ministro annuisce: «È scontato. L’Europa ci aveva concesso di spingerci all’1,6 nonostante il nostro impegno a fermarci allo 0,8. E invece il rapporto deficit-Pil è volato al 2,4. E non è finita. Il governo deve trovare altri 13 miliardi e alla fine si sfiorerà il tetto del 3 per cento...».

Salvini dice «me ne frego»
Venerdì abbiamo perso venti miliardi. E non erano soldi di speculatori. Erano delle nostre aziende. Da quando è partito questo governo di miliardi ne abbiamo bruciati ottanta senza considerare l’aumento dello spread. E questo vuol dire meno occupazione e meno investimenti. Un quadro disastroso e la minaccia più terribile si agita dietro un altro grande interrogativo: con una Italia così chi compra il nostro debito?

Che vuol dire con un’Italia così?
Un governo ha il dovere di tenere in sicurezza il Paese e le finanze a posto. E invece in queste settimane si accavallano segnali negativi e il rischio che l’Italia stia perdendo il controllo delle sue finanze pubbliche sta crescendo di ora in ora. E non è solo il livello del deficit. Ci sono pochi soldi per gli investimenti e c’è tanta spesa corrente.

Che scenario vede?
Ci hanno riportato nel pieno del rischio di una crisi finanziaria. Spero torneranno a ragionare. Sarebbero dei pazzi se davvero facessero quello che dice Salvini: continuare dritto.

Se seguissero la linea del vicepremier?
Lo spread salirebbe. Quota 400 oggi è lontana, ma ci vuole un attimo a toccarla. Le banche andrebbero in crisi. Il costo del debito potrebbe raggiungere la soglia di allarme. A quel punto il fantasma della Troika potrebbe diventare reale. O in alternativa una drammatica situazione di pre-default.

È per questo che va in piazza?
Non solo per questo. C’è in Italia una deriva illiberale allarmante. Attacchi alle istituzioni, ai tecnici del Tesoro, al Ragioniere generale. E un caos generalizzato: pensi al decreto Genova. E non basta. Siamo uno dei Paesi fondatori dell’Europa e questo governo guarda a Putin e a Orban. Ecco perché vado convintamente in piazza. Perché l’Italia deve trovare la forza di reagire. Non può più essere indifferente, non può più essere apatica, non può più pensare che anche questa volta alla fine ce la caveremo.

Il Pd può essere il muro contro la deriva?
Il Pd non basta, ma soprattutto il Pd non va bene. Non va bene così come è. Non vanno bene i messaggi messi in fila negli ultimi anni. E non va bene quanto pensato per la manifestazione.

In piazza per l’Italia che non ha paura...
È esattamente il contrario. Io vado in piazza per l’Italia che ha paura. Che cerca un punto di riferimento. Che è rimasta indietro e chiede aiuto. Un’Italia che ha bisogno di uno Stato forte e di politiche serie. Sicurezza finanziaria e dei confini. Investimenti e lavoro e non assistenzialismo e anticipi pensionistici che pagheranno i nostri figli. Abbiamo il dovere di mettere in campo un new deal per l’uomo nell’era digitale a partire dalla scuola e dalle competenze.

Quale è il vero male del Pd?
La stratificazione dei rancori personali. Il Pd è costruito su una serie di conflitti profondi che di mese in mese si sono acuiti. È stato addirittura impossibile organizzare una cena tra quattro uomini che sono stati al governo insieme. Magari io a proporla sono stato ingenuo ma dire «no» è stato davvero incomprensibile.

E ora?
Ora la strada è azzerare tutto. È ripartire da un foglio bianco. È puntare su volti credibili. Penso a Enrico Giovannini, a Marco Bentivogli, a Marco Minniti, a Roberta Pinotti. Ma anche alla rete dei sindaci messa insieme da Federico Pizzarotti. È ora di voltare pagina e di farlo in fretta. Già alle Europee che saranno come le elezioni del ’48. Serve un grande progetto all’altezza del momento storico: un ampio fronte repubblicano e progressista. E un altro simbolo.

Oggi il tema è però un altro. Il ministro Tria, ad esempio, resta o no?
Non è questo il punto. Il punto è che a via XX Settembre c’è un ministro dell’Economia la cui reputazione è irrimediabilmente ferita. La sua credibilità è stata minata. In Europa sanno che non decide Tria e questo è molto pericoloso.

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