mercoledì 3 ottobre 2018
Nel 2019 sarà al 2,4%, poi scenderà all'1,8 nel 2021. Giallo sui numeri finali. Tria punta sulla crescita. Quota 100 e reddito di cittadinanza entro marzo 2019. Flat tax solo per gli autonomi
Continua la messa a punto della manovra, cambiamenti percentuali (Ansa)

Continua la messa a punto della manovra, cambiamenti percentuali (Ansa)

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A quasi una settimana dal Consiglio dei ministri che formalmente ha «varato» il Def, il governo non alza ancora il velo su tutti i numeri della manovra anche se conferma la mezza marcia indietro sul deficit degli anni 2020 e 2021 (calerà dal 2,4% del 2019 fino al’1,8%) e aggiunge che nel triennio a venire il debito pubblico scenderà dall’attuale 131% al 126,5%. Il grande assente nei numeri diffusi dal governo ieri sera in una conferenza stampa in cui non sono state consentite domande è invece proprio il dato sulla crescita del Pil, in rapporto al quale si misurano tutte la altre grandezze finanziarie. Il problema è che se si sovrastima la crescita futura, gli altri valori migliorano automaticamente. Il realismo della previsione è dunque alla base di uno scenario credibile della finanza pubblica.

Ad aprile il Def lasciato in eredità dal governo Gentiloni stimava una crescita (tendenziale, cioè senza nuovi interventi) dell’1,5% per quest’anno e all’1,4% il prossimo. Numeri, che a causa del rallentamento dell’economia interna e internazionale sono considerati ormai superati. Proprio ieri il centro studi Confindustria ha diffuso le sue ultime stime, tagliando il Pil all’1,1 nel 2018 e all’0,9% nel 2019. «Dimezzeremo il gap tra i nostri dati di crescita e quelli medi europei», ha assicurato però il ministro dell’Economia Giovanni Tria annunciando un «manovra di qualità» e «non di finanza allegra» che avrà al suo centro il rilancio degli investimenti, con 15 miliardi di spesa aggiuntiva nel triennio, dei quali circa 3,5 già l’anno prossimo. Accanto a lui il premier Conte («manovra seria, responsabile e coraggiosa, il Paese ha bisogno di una forte crescita») e i due vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini che hanno confermato le promesse del programma.

A partire dal superamento della legge Fornero sulle pensioni, da reddito e pensioni di cittadinanza e dall’antipasto di flat tax a beneficio per ora delle sole partite Iva, che saranno finanziate per tutto l’arco temporale del Def. Nel menù annunciato ieri c’è anche l’assunzione di nuovo personale delle forze dell’ordine (Salvini parla di 10mila agenti), di un taglio dell’Ires per le imprese che investono e assumono stabilmente e del fondo per i risparmiatori truffati dalle banche poi fallite. Ancora poche le informazioni sul bilanciamento tra le spese e le coperture, che arriveranno in buona parte dal deficit aggiuntivo e dal gettito della pace fiscale, un’entrata temporanea che appare però sempre più decisiva per tenere in piedi la manovra 2019. Così come non c’è chiarezza sugli stanziamenti per le singole misure del programma: le cifre che arrivano da governo e dintorni restano ballerine e riflettono la corsa al posizionamento di M5s e Lega in vista della legge di bilancio vera e propria. Poi in serata, dopo un balletto di numeri tra i due numeri, arriva la posta definitiva: 20 miliardi complessivi sulle misure-simbolo, dal "reddito" a quota 100 sino all’aliquota agevolata per le partite Iva e le nuove assunzioni per la sicurezza.

Quanto al deficit sono confermate le previsioni della vigilia. Resta la soglia del 2,4% del Pil nel 2019, che assicura circa 14 miliardi in più rispetto a quell’1,6% considerato il massimo potabile dall’Europa. Per il biennio 2020-2021 il governo offre un ramoscello di ulivo a Bruxelles impegnandosi a un calo prima al 2,1% e poi all’1,8%. Ma si tratta di un percorso da confermare con le manovre dei prossimi anni e dunque meno vincolante rispetto a quello sul 2019. Anche negli anni passati sono stati indicati obiettivi di riduzione del deficit per gli anni successivi al primo poi quasi sempre disattesi, in tutto o in parte.

Discorso analogo per il debito pubblico, per il quale si scommette su un taglio di quasi 4 punti in tre anni, percorso che punta a rassicurare i mercati finanziari dove ieri lo spread ha chiuso in calo a 283 punti dai 300 del giorno prima. Se non ci saranno «coperture credibili» e misure che davvero garantiscano la crescita, ammonisce però Confindustria con il presidente Vincenzo Boccia, le misure in cantiere potrebbero portare a più tasse in futuro e ad aumentare il tasso di risparmio già oggi, invece che i consumi. Entro oggi tutti i dati del Def dovranno diventare pubblici con l’invio del documento alle Camere.

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