martedì 18 settembre 2018
Tensione tra il ministro del Lavoro e quello dell'Economia. La parola finale sul Def e sulla legge di bilancio è ancora lontana dall’essere scritta
Scintille per la manovra. i ministri Di Maio (a sinistra) e Tria (Ansa)

Scintille per la manovra. i ministri Di Maio (a sinistra) e Tria (Ansa)

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Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è tornato ieri a rassicurare i mercati garantendo che nella prossima manovra il governo confermerà gli sforzi per ridurre il debito. Restano forti le tensioni tra il Mef e i partiti della maggioranza, che chiedono più risorse per finanziare le misure del programma, ma non sembrano per ora impensierire i mercati finanziari, propensi a credere a un esito non dirompente del braccio di ferro in corso: dopo l’aumento di lunedì ieri lo spread tra i Btp e i titoli tedeschi è sceso fino a quota 230 punti, il minimo da luglio, con un rendimento tornato al 2,78% dopo i picchi estivi sopra il 3%. Per il governo è una buona notizia anche se nel pomeriggio le dichiarazioni di Luigi Di Maio hanno reso evidente che la parola finale sul Def e sulla legge di bilancio è lontana dall’essere scritta.

«Nessuno ha chiesto le dimissioni del ministro Tria», ha detto il vicepremier smentendo qualche ricostruzione giornalistica, ma «voglio che il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani che momentaneamente sono in grande difficoltà e non possono più aspettare, un ministro serio i soldi li deve trovare». Toni perentori, segno che il M5s non si accontenterà di poco, mentre anche la Lega sta spingendo sulle sue priorità programmatiche.

Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, la fissazione del deficit «viene dopo» l’individuazione dei provvedimenti: «Prima bisogna varare misure intelligenti, il resto lo vedremo», ha affermato riferendosi alla possibile indicazione all’1,6% del disavanzo nel 2019, il livello massimo secondo il Tesoro per mantenere in lieve discesa il debito pubblico e il deficit strutturale e rassicurare così Bruxelles e gli investitori.

In sostanza, Tria pensa si debba partire dalle risorse disponibili nel quadro delle compatibilità europee, i partiti di maggioranza dall’attuazione del programma di governo costi quel che costi, o quasi. «Io personalmente voto per fare più deficit» pur restando «entro il 3%», ha affermato ad esempio il presidente della commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi. E i 5 stelle a loro volta non fanno mistero di puntare a deficit più alto, tra il 2 e il 2,5% per finanziare reddito e pensioni di cittadinanza. «Su questo non si arretra», confidava ieri una fonte governativa. Sono pressioni che acquisterebbero inevitabilmente più forza se la "temperatura" dei mercati restasse in raffreddamento anche nei prossimi giorni.

Ma Tria non è solo il guardiano dei conti pubblici. Il responsabile del Mef ha una sua strategia economica che però solo in parte coincide con quella dei soci di maggioranza . Parlando ieri a Milano, il ministro ha rilanciato la necessità di aumentare gli investimenti pubblici, un passo necessario per tentare di ridurre il gap tra la bassa crescita italiana e quella europea. «Gli investimenti pubblici devono tornare a essere il 3% del Pil nel breve termine, è essenziale che siano al centro della manovra – ha affermato –. Attualmente siamo al 2% ed è un livello troppo basso».

Sul fronte fiscale i progetti vanno «oltre la flat tax, siamo a uno stadio avanzato su un’imposta sul reddito personale che ridurrà il carico per la classe media, mantenendo un impatto sul budget gestibile», ha sottolineato con una frase che sembra dare sostanza alle indiscrezioni su una revisione delle aliquote Irpef. Quanto al reddito di cittadinanza è necessario «risolvere i problemi sociali che hanno portato al bisogno della nascita di questo reddito», occorre «un percorso bilanciato che tenga conto di bisogni sociali e requisiti economici» lungo «un orizzonte di legislatura». Percorso che però rischia di rivelarsi troppo prudente per Di Maio e Salvini.

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