lunedì 30 gennaio 2012
​L'Ufficio di presidenza della Camera approva la decurtazione di 1.300 euro lordi (700 netti), con effetto "immediato". E sul tetto degli stipendi ai manager pubblici, il premier Monti trasmette alle Camere lo schema del decreto attuativo: per tutti varrà come limite massimo il trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione.
Bene così di Marco Tarquinio
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​Non sorprende né scuote più di tanto la nota di palazzo Chigi sui tagli ai superstipendi pubblici, che arriva nel pieno della riunione dell’ufficio di presidenza della Camera. Il taglio ai costi della politica è già nero su bianco e l’incontro di ieri serve a ratificare (al massimo a limare) decisioni già prese nelle settimane precedenti. La Camera dei deputati taglia di 1,300 euro lo stipendio dei parlamentari, con una riduzione ulteriore del 10 per cento per chi ricopre incarichi istituzionali (presidente della Camera, vicepresidenti, deputati questori, segretari di presidenza, presidenti e membri degli uffici di presidenza dei diversi organi parlamentari, delle delegazioni parlamentari presso le Assemblee internazionali e componenti degli organi interni di giurisdizione). Vanno poi in soffitta i tanto discussi vitalizi e anche i deputati passano alle pensioni calcolate col metodo contributivo, mentre vengono messi in regola i collaboratori, il cui ruolo presto sarà definito per legge.La stretta voluta da Monti per i vertici della Pubblica amministrazione trova dunque un Parlamento deciso a fare la sua parte, senza farsi trovare impreparato e pronto a votare norme con effetto immediato. E oggi anche il Senato si adeguerà al clima di "austerity", in linea con quanto deciso ieri a Montecitorio, secondo quanto già previsto nella riforma delle pensioni (compreso il prelievo di solidarietà del 15 per cento sulle pensioni per la parte eccedente i 200 mila euro annui, già varato con ventiquattr’ore di anticipo dai colleghi deputati).Decisioni e scelte condivise da tutti, con la sola esclusione di Idv e Lega, che alla Camera non votano le novità, considerate non sufficienti (i primi avrebbero voluto estendere il regime pensionistico anche agli ex deputati, mentre il Carroccio puntava la scure sui doppi vitalizi).Per Gianfranco Fini ne va della credibilità delle istituzioni, che passano «al contributivo come tutti i cittadini», ai quali comunica via twitter le novità appena sfornate.«Si tratta di decisioni definitive e ad effetto immediato» spiega il vicepresidente della Camera Rocco Buttoglione, preoccupato di riallacciare quel filo interrotto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Ma questa volta le novità ci sono e il presidente udc ci tiene a elencarle. Dal 1° gennaio 2012 per i dipendenti della Camera dei deputati viene introdotto il sistema contributivo pro-rata, l’innalzamento a 66 anni del requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia e a 67 anni a partire dal 2021, l’innalzamento a 41 anni per le donne e a 42 per gli uomini dell’anzianità contributiva per l’accesso alla pensione anticipata. Misure a cui si aggiungerà, appunto, il contributo di perequazione del 15 per cento per le quote di pensione dei dipendenti della Camera superiori ai 200.000 euro.Quanto ai portaborse, le spese sostenute per i rimborsi non saranno più interamente a forfait, ma solo per il 50 per cento. Vale a dire, che d’ora in avanti i deputati dovranno rendere conto di quanto spendono per i collaboratori per il 50 per cento, mentre per il restante 50 per cento rimarrà il sistema forfettario. «Contiamo comunque di avere una legge che definisca lo stato del collaboratore parlamentare» quanto prima, conferma Buttiglione.E a questo punto, le misure prese renderanno «il costo complessivo sostenuto per i deputati italiani in carica inferiore rispetto a quello sostenuto dalle Assemblee dei Paesi europei con il Pil più elevato e dallo stesso Parlamento europeo» e «l’importo netto dell’indennità parlamentare erogato ai deputati italiani risulta in linea con quello percepito dai componenti degli altri Parlamenti presi a riferimento», spiega un comunicato della presidenza di Montecitorio. Una risposta che arriva nonostante il fallimento della commissione Giovannini, voluta dal precedente governo, con il presidente dell’Istat che ha già fatto presente l’impossibilità di poter assolvere appieno l’incarico entro la scadenza prevista per il 31 marzo.
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