venerdì 19 novembre 2010
Dopo la trasmissione «Vieni via con me», in cui Fazio e Saviano hanno dato voce soltanto a Beppino Englaro e Mina Welby e alle loro posizioni orientate alla possibilità di eutanasia per chi soffre, cresce la protesta delle famiglie che sono in prima linea nella cura. E che adesso, insieme agli stessi disabili gravi, si dicono pronte ad andare in televisione per testimoniare il desiderio di condurre un’esistenza che non è dimezzata.
Appello ai media e soprattutto alla Rai
FATELI PARLARE di Marco Tarquinio
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Non li ha mai nemmeno sfiorati l’idea che un giorno si sarebbe reso necessario disporsi ad andare in televisione per difendere la dignità della propria condizione umana. Ma dopo quello che hanno combinato lunedì sera Fazio & Saviano, alcuni di loro si dicono disponibili a mettere da parte riserbo e pudore per dire anche in tv che la vita è degna di essere vissuta anche se si è disabili gravissimi. Più di mezz’ora di televisione a senso unico, lunedì sera dentro Vieni via con me, tutta tesa a dimostrare che la vita a un certo punto può essere buttata via ha aperto una ferita profonda nella vita delle famiglie di persone in stato vegetativo, in coma, affette da sclerosi laterale amiotrofica, o con sindrome locked-in. Migliaia di persone che in Italia, ogni giorno, offrono una lezione di dignità, coraggio, speranza, dedizione, altruismo, un popolo che quella serata televisiva ha di fatto umiliato. Le storie che abbiamo raccolto in questa pagina consentono di ascoltare il dolore – composto, ma profondo – col quale hanno seguito un incredibile spot per l’eutanasia sulla tv pubblica. Ci mettiamo in ascolto di questa Italia che non trova spazio sui media quando si parla di disabilità e decisioni di fine vita. Perché è la parte migliore del nostro Paese. Ed è incredibile che la televisione la ignori, per far spazio a due testimonial – sempre loro – della morte cercata, procurata e giustificata. Da questi genitori, fratelli, mogli, mariti, figli abbiamo davvero molto da imparare.
La lotta di Gloria per il figlio Simone: una rete di aiuto e fondi pubbliciParte proprio stamattina dal suo Trentino per Roma, dove intende "copiare" l’esperienza di una casa famiglia per giovani adulti in stato vegetativo, Gloria Valenti, la mamma di Rovereto che si batte anche con quest’obiettivo da cinque anni. Ovvero da quel 12 ottobre 2005, il giorno dal quale suo figlio Simone Schonsberg (allora quindicenne) a seguito di un arresto cardiaco mentre andava a scuola si trova a vivere in stato vegetativo: i primi 13 mesi in ospedale, ora assistito dalla famiglia e da una straordinazione rotazione di coetanei e conoscenti. Sono gli «Amici di Simone», come dice il nome della Onlus fondata nel 2007 e ora conosciuta anche fuori provincia che vede ogni anno 200 soci – fra i quali anche associazioni di volontari, oratori, gruppi di famiglie – impegnarsi sul territorio per un’opera di sostegno anche economico con concerti, feste campestri, incontri di sensibilizzazione. Gloria l’ha raccontato in un toccante volume lume dal titolo «Svegliati, Simone» (Editrice Il Margine, Trento) che esprime le attese di tante famiglie e interpella l’ente pubblico a farsi carico di iniziative concrete: «Quest’anno la Provincia – riconosce la mamma trentina – ha deliberato un contibuto di 6 mila euro per le famiglie di malati in stato vegetativo o con Sla e l’esenzione totale della retta per coloro che sono ricoverati in residenze socio-assistenziali». Un altro contributo dall’associazione di Gloria è il fresco vademecum dal titolo «Una mano per la vita» dedicato alle famiglie che vivono questa realtà quotidiana. «Una persona in stato vegetativo – è uno dei principi sui quali Gloria Valenti ha coinvolto tante persone – non è malata: ha bisogno di una struttura adeguata che le permetta assieme alla sua famiglia e ai suoi amici, di non smettere di vivere». Diego AndreattaAngelo: date voce pure a chi resisteAngelo Carboni fino a sei anni fa insegnava al Liceo. Poi la Sla l’ha costretto a lasciare, ma non gli ha tolto la voglia di vivere. Lo dimostra il nuovo libro presentato ieri nella sua Pattada (Sassari) dal titolo emblematico, "Inguaribile vagabondo", scritto con il comunicatore oculare. «Avrei voluto dare un taglio diverso al mio intervento – ha esordito Angelo – sull’onda delle ripetute trasmissioni tv sull’urgenza e sulla legalizzazione della "buona morte". L’impressione è che una cultura segnata dal relativismo voglia cancellare il dolore dalle nostre esistenze. Fazio ad esempio: il messaggio è che la vita in certe condizioni non avrebbe alcun senso. Una vera scelta di libertà, invece, sarebbe quella di dare voce a qualcuna delle migliaia di persone che, pur in condizioni critiche, hanno della vita un’idea del tutto diversa». Accanto ad Angelo l’infaticabile moglie Maria Giovanna che non smette di sostenere il marito. «È dura, ma credo non ci sia altra strada che stare vicino a chi vive questa malattia, aiutando in ogni modo a dare senso giusto alle giornate». Per il figlio Andrea non è stato semplice superare la nuova vita del padre: «Ho seguito l’evoluzione della malattia: più progrediva, più lo vedevo mettere da parte ogni forma di individualismo ed egoismo per mettersi in secondo piano, facendo posto alle nostre esigenze rispetto alle sue. Il suo nuovo libro può farci capire il vero senso dell’esistenza». La prefazione al libro è del vescovo, monsignor Sergio Pintor, che scrive tra l’altro: «Il tuo è un libro sulla vita e l’amore, l’esistenza e il suo senso, la forza e la gioia dell’amore che fa vivere, la sofferenza vissuta in comunione con la fede».Roberto Comparetti«Mio marito non si può muovere ma sente tutto Inumano escluderlo»Si sono sentiti esclusi, e in qualche modo traditi dalla puntata di «Vieni via con me» di Fabio Fazio e Roberto Saviano. «Il dramma sommerso e per lo più ignorato che viviamo quotidianamente in solitudine e senza sostegni né economici, né sociali, né umani non può essere esaurito da casi mediatici che vengono regolarmente strumentalizzati per fini ideologici o di spettacolo», dice Mariapia Bonanate, giornalista e scrittrice, che dal dicembre del 2005 vive accanto al marito colpito dalla Locked-in syndrome, o sindrome del chiavistello. Una invalidità che lascia la corteccia celebrare intatta, quindi la facoltà di capire e di pensare, mentre il corpo è ridotto a un’immobilità totale. «Queste persone vivono chiuse come in uno scafandro: vedono, ascoltano, si emozionano, si disperano, lottano per sopravvivere, ma non possono comunicare in alcun modo», spiega la giornalista. E aggiunge: «Ma sono persone vive, esistono, hanno diritto a una qualità di vita che ne rispetti la dignità e permetta loro di abitare una dimensione pienamente umana». Lo dimostrano studi e ricerche effettuate a livello scientifico: un’alta percentuale di questi ammalati vuole continuare a vivere, pur in una condizione così invalidante. «C’è un diritto a vivere – sostiene Mariapia Bonanate –, che non trova risposte nelle istituzioni, nella politica e nella cultura. Questi "vivi" sono considerati dei vuoti a perdere solo perché non hanno più voce, non sono visibili, non producono e non sono efficienti». E conclude: «I "comanauti", come sono stati definiti da Leonardo Melossi, medico riabilitatore torinese, ci chiedono di essere ascoltati nel silenzio in cui vivono per poter riallacciare con il mondo esterno una comunicazione che parla di valori e di dimensioni che oggi abbiamo perso. Se sapremo ascoltarli capiremo che il coma non è solo sofferenza, ma anche un’opportunità per scoprire un altro modo di vivere e di amare».Chiara GenisioRosy, che non sa stare fermaA San Piero in Bagno, in provincia di Forlì-Cesena, la casa di Rosy Facciani, 63 anni, è nota a tutti. Ogni venerdì diverse persone si ritrovano accanto al suo letto per la recita del rosario e alcune volte l’anno il parroco don Rudy Tonelli, grande amico di famiglia, celebra la Messa in quella stanza in cui abbondano immagini della Madonna di Lourdes e di padre Pio. Rosy è ammalata di sclerosi laterale amiotrofica (Sla) dal 1991 ed è immobile dal 1994. Nella sua camera non manca alcun macchinario, anche se «c’è sempre da combattere con la sanità, per quanto noi in Romagna siamo fortunati», sottolinea Simone, 41 anni, una vita spesa accanto alla mamma. «Se non ci fosse mio figlio – precisa Rosy, che da un paio d’anni utilizza un sintetizzatore vocale per comunicare – io non sarei più qui da molto tempo». Grazie al computer a cui è collegata, Rosy guarda la tv, naviga su internet, ascolta musica, va su YouTube, si muove in un mondo che prima le era sconosciuto. «Si lamenta perché il pc è lento – precisa il figlio –. In merito poi alle polemiche di questi giorni sull’eutanasia, posso dire che per la mamma è un pensiero che neppure esiste. Rosy vuole vivere. Ed è sorretta da una grande fede. In giugno l’ho portata con il dottor Melazzini e quelli dell’Aisla (l’Associazione nazionale degli ammalati di Sla) davanti a Montecitorio. Pochi giorni dopo, con il nostro nuovo pulmino, l’ho accompagnata al mondiale di superbike a Misano (Rn), per seguire il nostro concittadino Lorenzo Lanzi, una sorta di figlioccio per Rosy. Il 31 luglio e il 17 ottobre siamo stati a Firenze, a trovare una sua amica. Non si può dire che Rosy stia ferma in un letto». «La vita è bella e bisogna viverla fino in fondo», ripete Rosy a chi la va a trovare. Per credere bisogna vedere. La casa di Rosy è aperta a tutti.Francesco Zanotti«Moira ha il diritto di vivere»È sconcertato o, meglio, adirato Faustino Quaresmini, il papà di Moira, la signora di Nova Milanese in stato vegetativo da dieci anni. È adirato di fronte a quanto sta avvenendo in questi giorni, prima con gli spot in favore dell’eutanasia e poi con la trasmissione di Fabio Fazio. «È evidente: il messaggio che vogliono far passare è quello di sopprimere le persone malate o disabili, non di aiutarle. Perché nessuna di quelle tremila famiglie che hanno un familiare in stato vegetativo e che hanno scelto non di sopprimerlo, ma di assisterlo, di accudirlo in casa, magari da soli, con tanto sacrificio e con tanto amore, viene mai interpellata? Anche noi siamo cittadini e abbiamo il diritto di far conoscere il nostro pensiero, visto che il canone tv lo paghiamo». È un fiume in piena Quaresmini: e non potrebbe essere altrimenti. Sua figlia Moira nel gennaio del 2000, a causa di un’embolia amniotica al momento del parto, entra in coma. In ospedale viene sottoposta al cesareo. Nasce una bambina di 4 chili, Asia, che però muore pochi minuti dopo. Negli ospedali di Desio, Erba e Seregno, dove Moira viene ricoverata, i medici sono concordi: non c’è più nulla da fare, solo un miracolo potrà salvarla. Faustino e sua moglie Giovanna credono nei miracoli e, contro il parere di tutti, portano Moira a casa propria e scelgono di donarsi completamente alla propria figlia. Scelgono il miracolo dell’amore, che ha permesso a Moira di continuare a vivere ben dieci anni. «Nostra figlia ha lo stesso, ripeto lo stesso, quadro clinico che aveva Eluana Englaro – continua Quaresmini –. Moira mangia di tutto, ovviamente frullato, ci sorride e sono convinto che ascolta quanto stiamo dicendo. Moira è viva e ha il diritto di vivere. Questo è ciò che importa». Enrico Viganò
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