lunedì 3 giugno 2013
Angela e Sascha : così usciamo dall’inferno del gioco L’impegno del Centro San Nicola, vicino ad Ancona. I racconti drammatici di chi, facendo ricorso a terapie adeguate, cerca di lasciarsi alle spalle il demone della puntata Una patologia compulsiva che macina fortune e sconvolge le famiglie.
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Non toglie gli occhiali scuri, ma che non coprono tristezza e speranza: «Una volta scesi di casa con la febbre alta e altri problemi fisici. Mentre giocavo, svenni battendo la faccia sulla slot machine. Fu il momento più umiliante della mia storia».Il piacere perverso è "il" gioco. Angela, seduta con le mani in grembo una sull’altra, parla con un filo di voce. La pioggia picchia sulle finestre. Giocatrice ludopatica, 38 anni, sta cercando di uscirne. Farlo è dura, durissima. «Bisogna fermarsi finché si è in tempo – sussurra, la testa abbassata –. Altrimenti, un passo alla volta, si piomba in un baratro dal quale non si esce facilmente. E la volontà non serve più. Si diventa malati da curare». Va esattamente come qualsiasi dipendenza: l’unica certezza di restarne fuori la dà soltanto non entrarci mai.Cominciò a entrare nelle sale delle slot perché, frequentando amici che lo facevano, «vidi del divertimento e iniziai anch’io, anche se penso che fu con la prima grossa vincita la svolta». Eppure nemmeno il denaro è quel che "conta": «Si vuole vincere per avere altri soldi e continuare a giocare, la vincita di per sé non ha alcuna importanza». Il piacere perverso è tutto «durante il gioco, non nel risultato. È il gioco».«Individui responsabili». Sascha di anni ne ha 44 ed è padre di un bambino che sembra la sua fotocopia. Ospite del "Centro di recupero dalle dipendenze San Nicola", fra le colline marchigiane, una manciata di chilometri da Ancona, è giocatore ludopatico anche lui ed ha cominciato a venirne fuori dall’ottobre scorso. Non gli piacciono le pubblicità a inseguire la fortuna (buttando via palate di soldi) che spuntano dappertutto: «Ci martellano dicendoci che si deve giocare in maniera responsabile.A me pare che una società sana dovrebbe creare individui responsabili e non giochi responsabili. La vita non è un gioco». Occhi marroni, capelli chiari e aria da... guascone: «Cominciai con le Slot machine e divenni compulsivo con ogni gioco on line, convinto che avrei guadagnato in questo modo i soldi che avevo perso e stavo perdendo nella mia attività lavorativa. Il gioco era diventato un compagno di vita e di viaggio, anzi l’unico: divenni taciturno, depresso, me ne stavo sempre da solo, ansioso, esisteva solamente il gioco, per ore e ore... Ero diventato un malato, perché di malattia si tratta. Ferme restando le nostre responsabilità».Un mondo che non esiste. Una patologia, riconosciuta come tale anche dall’Oms e da tempo. «Credo sia anche una malattia dell’anima – secondo Rino, 44 anni, operatore del "Centro di recupero dalle dipendenze San Nicola" –. Perché chi gioca, già dall’inizio, già spesso prima di finire nella ludopatia, non sta bene con se stesso e non riesce ad affrontare la vita reale. A quel punto è facile entrare in un mondo che non esiste».Sono sempre di più. Mondo fittizio, eppure sempre più popolato: «È da un po’ che cresce il numero delle richieste di aiuto da parte di persone con seri problemi di dipendenza dal gioco», spiega Vincenzo Aliotta, fondatore e responsabile del Centro San Nicola, al quale arrivano ospiti anche da Gran Bretagna e Olanda (ma che ancora attende la convenzione dalla Regione Marche). Crescita che «delinea la tendenza del forte aumento di questa dipendenza nel nostro Paese».Aver coraggio di chiedere aiuto. Di nuovo Rino, l’operatore: «Uno dei primi problemi di chi cade nella ludopatia è la vergogna». Problema ed anche ostacolo quando si capisce che da soli non ce la si potrebbe più fare: «Allora il passo, forse il più difficile da compiere, è stendere la propria mano chiedendo aiuto...».
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