martedì 5 dicembre 2017
«Lo sport a scuola è battaglia vitale. Con crescita zero l’Italia vince meno». Il numero uno del Coni: «Negli ultimi 15 anni abbiamo perso 4,5 milioni di potenziali atleti tra i 14 e i 20 anni
Il presidente del Coni Giovanni Malagò In questa intervista lancia l’allarme sulle conseguenze negative che lo "sboom" demografico italiano sta avendo anche  sullo sport nazionale, a tutti i livelli

Il presidente del Coni Giovanni Malagò In questa intervista lancia l’allarme sulle conseguenze negative che lo "sboom" demografico italiano sta avendo anche sullo sport nazionale, a tutti i livelli

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Giovanni Malagò va di corsa. Lo fa nella foto sull’account Twitter. Ed è così anche nella realtà. "Beccato" al Coni fra un impegno e l’altro, manda un messaggio alla politica guardando già al prossimo Parlamento («Va ridefinito il rapporto sport-scuola: per noi è la madre di tutte le battaglie»), parla volentieri di temi sociali («È ingiusto non approvare la legge sulla cittadinanza») e difende i risultati della sua gestione. Ci accoglie nella sala delle fiaccole olimpiche: giusto il tempo di rivendicare la sua «fede cattolica» e le «iniziative di charity» cui partecipa, poi via di corsa nel suo ufficio, con al fianco il suo fedele cane Joe che caracolla nei corridoi del piano.

Allora, come sta lo sport italiano?
Dobbiamo fare una necessaria premessa. Per lo sport è come per l’economia. Se non abbiamo più nascite, se stiamo con una popolazione inalterata, in troppi non producono più. A questo aggiungiamo poi che molte persone che vivono in Italia non sono riconosciute come italiane.

Vinciamo di meno perché siamo di meno?
Guardiamo le statistiche: negli ultimi 15 anni abbiamo perso 4,5 milioni di potenziali atleti nella fascia dai 14 ai 20 anni. Per fortuna è cresciuta la pratica sportiva nel tempo libero - lo dice l’Istat, non io - di 4,2 punti tra il 2013 e il 2016: vuol dire 2,5 milioni d’italiani in più che la praticano. Per me è come una medaglia olimpica.

La legge sulla cittadinanza è decisiva anche per il movimento sportivo?
Lo sport è laico e non vuole essere strumentalizzato, non ha partiti e colori e non deve averne. Ma non possiamo non essere a favore di questa legge, contro qualcuno che la cavalca solo per proprio tornaconto. È inaccettabile che i nostri figli stiano a scuola e si allenino con altri ragazzi, poi magari devono iscriversi a un campionato o salire di categoria, ma alcuni loro compagni non possono farlo. O, addirittura, dopo essersi formati in Italia non possono indossare la maglia azzurra. Così non si può competere ad armi pari con chi, invece, all’estero non ha preclusioni di questo tipo.

È l’anima sociale del Coni?
Sta scritto nel nostro dna. Quando vedo qualcuno che non è messo nelle condizioni di praticare sport, io penso soprattutto che quella persona sta rinunciando a un pezzo della propria vita. Lo sport può non piacerti, quando lo fai, ma è un diritto avere la possibilità di farlo. Non può essere solo per pochi. Sa qual è un’esperienza che mi ha letteralmente commosso?

Gli ori olimpici? Troppo scontato...
Infatti. È stato quando ho assistito nel carcere di Frosinone a una partita di rugby dei Bisonti, la squadra allenata da Alejandro Villalon e Manuel Cartella che abbiamo fatto iscrivere al campionato di C. Vedere quell’impegno, quella passione, quell’entusiasmo, quella preparazione. Magari qualcuno era un po’ stempiato o aveva la pancetta, ma il valore trasmesso da iniziative come quella è incommensurabile. Potrei citare ancora la corsa di mille metri fatta dentro Rebibbia o il <+CORSIVOA>playground<+TONDOA> di pallacanestro allestito nel carcere minorile di Nisida, dove c’è una squadra che è un orgoglio. Tutte attività frutto del protocollo rinnovato col Dap del direttore Santi Consolo.

Un altro mondo rispetto al calcio dei milioni di euro...
Sa un paradosso? Più del calcio, uno degli sport che maggiormente apporta beneficio nelle carceri è il pugilato. Perché, contrariamente a qualche luogo comune, è uno sport intriso di regole e valori. Siamo contenti perché fa parte della filosofia del Coni, che è quella di non cercare solo risultati di vertice, ma di confrontarci e di crescere sul piano sociale.

Di recente il Coni ha tenuto gli Stati generali. Si è discusso di sport a scuola. Come nel gioco dell’oca, siamo tornati al punto di partenza?
È vero che la scuola è per noi la madre di tutte le battaglie. Nella prossima legislatura, chi ci sarà dovrà fare qualcosa di più, se non di diverso. In questi anni non so quanti ministri, quanti capi di gabinetto, di uffici legislativi ho incontrato. Tutti collaborativi e rispettosi, si sono impegnati. Però serve un cambio di passo che deve andare in una duplice direzione, dove l’una non esclude l’altra: più investimenti in capitale umano, negli insegnanti, e nelle infrastrutture. Senza, è come combattere con le cerbottane contro le armi nucleari.

Ogni settore batte cassa in Italia.
Non vivo su Marte. So bene che, se una scuola non è ancora antisismica, la priorità è quella. È un argomento delicatissimo e complesso, qualcuno può interpretarlo come un’invasione di campo. Serve una piena integrazione fra due elementi: un sistema scolastico, gestito dal ministero dell’Istruzione, che tenga conto delle esigenze dello sport e il supporto delle nostre 100mila associazioni sportive sul territorio. Ma serve volontà politica. Perché non attuare, a esempio, l’obbligo di realizzare un minimo d’impianti sportivi quando si realizza un nuovo progetto edilizio?

Servono idee nuove, in effetti. Perché non rilanciare i Giochi della gioventù, magari con uno sponsor?
È la direzione verso cui dobbiamo andare. I Giochi sono un format che va recuperato, rivisitato, ammodernato, non c’è dubbio. Noi col trofeo Coni giunto alla 5ª edizione, che è a carico nostro, raggiungiamo già 4mila bambini sul territorio.


Si lamenta spesso un’Italia bloccata, sul piano generale. Ha notato che anche il medagliere olimpico è pressoché immutato da Pechino 2008?
Non so se c’è una relazione. Se si frequenta il Coni, le assicuro che tutto sembra fuorché una struttura bloccata. Andiamo a una velocità diversa rispetto alla macchina pubblica. Restiamo però un ente pubblico e, come tale, qualsiasi cosa è veramente difficile rispetto a un organismo privato.

Il medagliere non è un indicatore?
È vero che è bloccato. Ma 30 anni fa c’erano l’Urss, la Jugoslavia... E il Coni aveva un contributo pubblico che, grazie al Totocalcio, era 3-4 volte superiore ai 400 milioni di oggi. Ricavi che ci garantivano proprietà e gestione di impianti che non ci possiamo più permettere. Oggi lo sport è un piatto che cuciniamo con pochi mezzi, come i 10 milioni dati per l’educazione motoria nella scuola primaria. Per questo cerchiamo accordi, anche coinvolgendo gli atleti come testimonial, per maggiori investimenti privati, dai quali per ora riceviamo 6 milioni annui.

Si parla di crollo negli sport di squadra.
Negli ultimi anni abbiamo vinto un titolo - europeo - solo con il softball, nel 2015. Però, da una parte mi si dice che devo sostenere le discipline meno popolari, poi si pretendono risultati in quelle maggiori. Bisogna intendersi.

In che senso?
Perché l’Italia che vince un bronzo mondiale nell’otto di canottaggio, dove gli atleti sono 9 con il timoniere, non è forse uno sport di squadra al pari e più di altri? E non conta la squadra delle sei splendide "farfalle", le ragazze della ritmica che hanno vinto l’oro ai mondiali di Pesaro e che vivono praticamente insieme tutto l’anno? La conosco l’obiezione...

Che il "peso" degli sport è diverso?<+TONDOA>
Sì. Certo, la nazionale di calcio è fuori dai mondiali. Ma appena un anno fa arrivò nei quarti all’europeo. E, curiosamente, nel 2017 siamo arrivati nei quarti con le due squadre, maschile e femminile, nella pallacanestro e nella pallavolo. E sempre nei quarti, ma a livello mondiale, nella pallanuoto. Andiamo a vedere quante altre, fra le 206 nazioni al mondo, hanno piazzato una squadra nazionale a tali livelli in tutti questi sport...

Qual è la verità, dunque?

La verità è che siamo un Paese dove facciamo tutti gli sport. Noi non lasciamo indietro nessuno. Se il Coni è apprezzato nel mondo è proprio perché abbiamo un modello universale di pratica. Sa, a esempio, che nella pesca sportiva abbiamo 200mila tesserati e siamo da sempre fra i primi al mondo? Noi andiamo avanti. Innanzitutto col processo di aggregazione, per far sì che le nuove federazioni trovino una casa. E poi per liberare risparmi utili a realizzare la nostra mission.

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