giovedì 12 maggio 2016
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Dopo giornate tempestose, il barometro politica-magistratura sembra tornato al bello. Auspicando che la leopardiana gallina continui a ripetere il suo verso, proviamo a individuare punti fermi e largamente condivisibili. Primo punto. La libertà di manifestazione del pensiero è diritto inviolabile, coessenziale con il nostro Stato costituzionale di diritto. Come ogni libertà, non è senza limiti, ma questi devono essere scritti nella legge e trovare fondamento in principi costituzionali. Secondo punto. Per i magistrati, che devono essere (e apparire) indipendenti e la cui estraneità alla politica dei partiti e ai suoi metodi è un valore di particolare rilievo costituzionale, la legge prevede il divieto di iscrizione e partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici, cioè di «organico schieramento con una delle parti politiche in gioco» (Corte costituzionale, n. 224/2009, caso Bobbio). Per i magistrati membri del Csm (come per ogni altro consigliere) vale, altresì, il divieto di svolgere «attività proprie degli iscritti a un partito politico». Fuori da queste ipotesi estreme e chiare, quando la sovraesposizione mediatica finisce per compromettere l’immagine del magistrato? E ancora: servono nuove regole deontologiche (oltre a quelle esistenti, che richiedono al magistrato misura ed equilibrio nella diffusione del suo pensiero)? Infine, per i membri del Csm, che dire? Qui siamo nel campo, mobile e in parte indefinito, dell’etica professionale e istituzionale. Ai componenti togati credo si chieda, sui temi fuori dal settore giustizia, di intervenire da cittadini e non in quanto magistrati. Ai componenti non togati, di ricordare che anche la loro è una funzione di garanzia, e non di continuare con altri mezzi l’eventuale vita politica precedente. Il dibattito sulla Costituzione e sul relativo referendum costituzionale è forse la più elevata discussione pubblica in uno Stato democratico, e dunque richiede il massimo apporto di tutti (nella nostra tradizione, è più questione di cultura e di politica in senso lato che di politica dei partiti e di Governo in senso stretto). Magistrati e consiglieri del Csm possono certamente parteciparvi: con quella sobrietà, dignità e misura che ne caratterizzano il ruolo. Verrebbe da concludere, rovesciando un antico proverbio: si non caute, tamen caste. Se non si vogliono (o non si riescono ad) evitare coinvolgimenti pubblici e mediatici, che almeno i toni e i contenuti siano 'casti', cioè tecnicamente argomentati e sempre rispettosi del proprio e altrui ruolo. © RIPRODUZIONE RISERVATA pane e giustizia
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