sabato 6 febbraio 2010
I magistrati della Procura di Palermo lanciano l’allarme. Il Pd: possibili effetti catastrofici. Il ministro: stiano tranquilli. Ingroia va all’attacco: questo è il risultato dell’approssimazione con cui si fanno le leggi in materia. A Catania e Termini Imerese sono già arrivati primi stop, ma il governo rassicura.
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Processi per mafia a rischio azzeramento. E, ironia della sorte, per l’inasprimento delle pene deciso da alcune recenti norme tra le quali la ex Cirielli del 2005 e il pacchetto sicurezza approvato dal Parlamento nel 2008. A lanciare l’allarme sono i magistrati della procura di Palermo, dopo una recente decisione della Cassazione che, proprio per questi inasprimenti, ha stabilito che i processi per mafia passino dalla competenza del tribunale a quella della Corte d’assise. Non solo ipotesi, visto che già alcuni processi in corso sia nel capoluogo siciliano che a Catania e Termini Imerese, sono stati di fatto bloccati.Ma a rischio ne sarebbero centinaia, alcuni molto importanti, come uno dei tronconi di "Addio pizzo" per le estorsioni a Palermo o quello a Giuseppe Setola, il boss dell’ala stragista dei casalesi. E dalla procura arriva l’invito al governo ad intervenire, soprattutto per evitare che il dilatarsi dei tempi dei processi faccia uscire qualche mafioso dal carcere. Altro rischio, e questa volta sono gli avvocati a lanciare l’allarme, è quello che alla fine si sovraccarichino di lavoro le Corti d’assise. Così il ministro della Giustizia Angelino Alfano interviene assicurando un veloce intervento chiarificatore. «Faremo di tutto per evitare che ci possano essere conseguenze negative e che si possa creare un grande paradosso e cioè che dall’inasprimento delle pene per i reati di 416 bis possano derivare benefici per i boss», assicura il Guardasigilli cercando anche di tranquillizzare: «Eviterei aggettivi estremi ed eccessi di ansia perché il governo dell’antimafia delle leggi e dei fatti, provvederà a fare in modo che effetti distorsivi non si verifichino. Tutti stiano tranquilli perché il Governo farà in modo che non ci siano conseguenze negative nascenti da un fatto positivo».Ma il Pd, per bocca del suo segretario chiede subito risposte concrete. «La sentenza della Cassazione che indica la competenza della Corte di Assise e non del tribunale a giudicare per associazione mafiosa i capimafia rischia di avere effetti catastrofici sui processi in corso – attacca Pier Luigi Bersani –. Bisogna che il governo intervenga immediatamente con un provvedimento d’urgenza per ristabilire certezza normativa sulla competenza dei tribunali». «C’è un buco nella legge, c’è un problema normativo: serve una correzione», è il commento che trapela dalla Cassazione. E, in effetti, come conferma un presidente di tribunale l’unica soluzione sarebbe un decreto legge che sancisca che la competenza, malgrado gli inasprimenti, non si trasferisce alle Corti d’assise. La questione, infatti, è tutta qui. La sentenza, emessa dalla prima sezione penale della Cassazione il 21 gennaio scorso, riguarda un processo celebrato a Catania (contro Attilio Amante e altri otto imputati), in cui si erano dichiarati incompetenti sia il Tribunale, con un’ordinanza del 7 maggio 2009, che la Corte d’assise, con un’altra ordinanza, datata 12 ottobre. Due settimane fa la Suprema Corte ha stabilito che competente a giudicare è la Corte d’assise: secondo i supremi giudici, in presenza di alcune aggravanti, la pena può lievitare anche fino a 30 anni e dunque il dibattimento deve essere tenuto davanti alla Corte d’assise (competente per reati puniti con l’ergastolo o la reclusione non inferiore ai 24 anni).Possibile conseguenza è l’azzeramento di molti i processi di mafia, anche quelli già chiusi con sentenze che non siano ancora definitive. La sentenza della Cassazione (finora è noto solo il dispositivo), sta suscitando dubbi e perplessità negli uffici giudiziari, con importanti processi per mafia che rischiano di ricominciare da zero. La questione, sollevata da numerosi pm, sarà affrontata lunedì 15 febbraio dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, presieduta da Francesco Messineo (che ieri ha comunque escluso il rischio di scarcerazioni). Paradossalmente, a scatenare l’emergenza è stata una norma contenuta nel pacchetto sicurezza, divenuto legge nel luglio 2008: se agli imputati di associazione mafiosa vengono infatti contestate talune aggravanti - ad esempio essere stati «capi e promotori», di avere agito con un’associazione armata e di avere reimpiegato in iniziative economiche i proventi di attività criminali - la pena lievita anche fino a 30 anni e dunque scatta la competenza della Corte d’assise.«Una catastrofe, dai potenziali effetti devastanti» avverte il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia che accusa: «Questo è il risultato dell’approssimazione con cui si fanno le leggi in tema di mafia. Sono gli effetti di una legislazione che va avanti a strappi, in modo schizofrenico e disorganico».
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