martedì 5 aprile 2016
​Il procuratore Roberti a Foggia: in questo territorio segni di riscatto. Usura, un'imprenditrice di San Severo:
«Per questo ho denunciato»
Mafia e imprese, il giogo da spezzare
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«Questo è solo l’inizio. I segni di riscatto ci sono. Da questo territorio nasce un messaggio di speranza, ma va coltivato dalle istituzioni». Così il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, conclude, tra gli applausi, il suo intervento nell’affollatissmo Teatro Giordano di Foggia. Ad invitarlo è stato l’arcivescovo Vincenzo Pelvi che insieme alla Fondazione antiusura Buon Samaritano e alla Camera di commercio ha promosso l’iniziativa 'Foggia reagisce', quasi una chiamata alle armi contro la violenza mafiosa che colpisce questo territorio con attentati a ripetizione, ma anche per risvegliare la città dall’indifferenza e dalla rassegnazione. «Contro i condizionamenti perversi della criminalità – è l’appello dell’arcivescovo –, la diffusione di comportamenti asociali, la nuova aggravata incidenza delle illegalità diffuse, l’impoverimento del potenziale umano giovanile costretto a emigrare e investire altrove le proprie attese e capacità, il nostro grido si fa più eloquente: Foggia reagisci!». Non ci sono scuse perche qui forze dell’ordine e magistratura sono più che presenti. Proprio nel giorno dell’evento un’operazione di Polizia e Guardia di Finanza, coordinate dalla Dda di Bari, ha portato all’arresto di 11 persone legate all’organizzazione mafiosa 'Società foggiana'. Avevano estorto un importante imprenditore del comparto agroalimentare, pretendendo somme e assunzioni. Per coprire queste attività illegali come consulenze, avevano costituito addirittura un consorzio. «Un salto di qualità della mafia foggiana», l’ha definito il procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, ma che è stato individuato senza alcuna collaborazione da parte dell’imprenditore che «ha assunto un contegno reticente, fuorviante e omertoso, che ha determinato nei suoi confronti la contestazione del reato di favoreggiamento». Un comportamento non isolato. Che Roberti denuncia con forza. «Se l’imprenditore paga è perché la mafia offre un servizio e lui è ben felice. Ma questo ha a che fare con l’estorsione? Spesso è invece un vero accordo tra imprenditore, mafioso e rapprentanti delle istituzioni. Come c’è il patto di scambio politicomafioso, previsto dal Codice penale, ci dovrebbe essere quello imprenditorialemafioso. Se ne era parlato qualche anno fa, poi non più. Sarebbe il caso di tornare a parlare». Raccoglie l’appello il presidente della Camera di commercio, Fabio Porreca. «Noi imprenditori dobbiamo stare lontani dalla zona grigia, dobbiamo denunciare. Non ci possono essere comportamenti ambigui e contraddittori». Ma c’è qualcosa che possono fare anche i cittadini, come sottolinea il presidente onorario della Fai, Tano Grasso. «Contro una situazione paludosa nel mondo delle imprese non basta la solidarietà verso chi denuncia, ma serve che i cittadini facciano avvertire la loro riprovazione forte e rigorosa contro chi paga il pizzo, è acquiesciente verso le mafie o addirittura colluso». È il 'noi' che fa la differenza. «Per ricostruire una cultura della legalità – dice ancora monsignor Pelvi – occorre cominciare dal basso promuovendo un’opera di rigenerazione collettiva di nuovi rapporti sociali, a cui tutte le componenti della società sono chiamate a dare il loro apporto ». Ma, aggiunge, «qui ci vuole il coraggio della profezia; il coraggio di alcuni aggettivi della fede, come la trasparenza, il radicalismo, il servizio». Come Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del registro di Foggia ucciso il 31 marzo 1995. La figlia Daniela, vicepresidente nazionale di Libera ricorda. «Ventuno anni fa bisognava lottare coi denti, se parlavo di mafia mi dicevano che sporcavo la città. Oggi abbiamo detto chiaramente cosa è la mafia a Foggia. La città sta cambiando, sta reagendo. Non si deve tornare indietro. Forse nella nostra città fare il proprio dovere è rivoluzionario. E allora facciamola questa rivoluzione».
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