sabato 10 agosto 2019
Una storia al giorno. Avvenire racconta il Paese degli invisibili: vite di migranti ai margini del sistema di accoglienza, bloccate dallo stop alla protezione umanitaria, in mano alle commissioni
Lo sbarco di una madre con il figlio (Archivio Fotogramma)

Lo sbarco di una madre con il figlio (Archivio Fotogramma)

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G.P. è una mamma di 24 anni con una bambina di quasi tre. Un percorso fragile, con lei determinata verso il lavoro e la piccola finalmente all’asilo. Ma, per il concetto di sicurezza del governo gialloverde, G. e la bimba devono finire in strada. È quanto contenuto nella Legge Salvini, che lo scorso marzo si traduce in una comunicazione della Prefettura di Milano agli operatori che seguono la giovane mamma: «Revoca dell’accoglienza», in quanto titolare del permesso umanitario, abolito dalle nuove norme.

Non conta nulla che G., arrivata in Italia dalla Nigeria a inizio 2016, avesse appena iniziato un tirocinio formativo e che la condizione di madre sola con figlia piccola sulla strada sarebbe insostenibile. «Non potevamo neanche – spiega Rosy Arricale del Consorzio Farsi Prossimo – trasferirla negli sprar, come si faceva prima per le persone come G., che avevano fatto una parte del percorso ma non erano ancora autonome». Anche lo sprar, l’eccellenza dell’accoglienza italiana, è stato abolito dalla nuova legge. G. però è stata fortunata: Caritas Ambrosiana ha deciso, criticando le disposizioni del Governo, di proseguire con fondi privati l’accoglienza dei titolari di permesso umanitario ancora in condizioni di fragilità.

Per la Chiesa di Milano la 'sicurezza' passa dall’aiutare una giovane madre a non finire per strada, proseguire il tirocinio verso il lavoro e continuare a inserirsi nella città. G. continua a vivere nell’appartamento della parrocchia di Sant’Ildefonso, dove diversi volontari sono diventati la sua famiglia. Una su tutte, Maria: «Quando ho battezzato la mia bambina – spiega G. – ho scelto lei come madrina, perché è la mamma che ho qui in Italia. Il giorno del parto era con me, mi ha fatto forza stringendomi la mano». «L’accoglienza diffusa presso le parrocchie – aggiunge Arricale, che coordina gli appartamenti del progetto umanitari di Caritas – funziona perché promuove i contatti tra le singole persone accolte e i cittadini della zona».

È un modello fortemente penalizzato dalla Legge Sicurezza, che punta invece sui grossi centri, dove la concentrazione di persone non facilita la convivenza. Intanto, grazie alla 'disobbedienza' di Caritas, G. continua a costruire il futuro per sé e la sua bambina: da qualche mese è arrivato il lavoro. In una gelateria: «Preparo i gelati e servo al bancone», racconta. Il pistacchio è la sua specialità, le cialde con granellato sono particolarmente gradite ai clienti. Il contratto, part-time, è arrivato dopo le lezioni di italiano in parrocchia e un corso di cucina la scorsa estate. Poi una borsa lavoro, proprio quando G. sarebbe dovuta finire per strada: se così fosse stato, difficilmente avrebbe potuto portarla a termine con l’assunzione.

Invece Caritas non l’ha messa alla porta, come ad altri titolari di umanitario è successo in giro per l’Italia. Non lo ha fatto 'per sicurezza': di G., della piccola di neanche tre anni e anche dei milanesi.

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