mercoledì 11 maggio 2016
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Wael Farouq: l’islam? Prima è necessario conoscere i singoli musulmani MILANO «L’Italia non è la Francia o il Belgio, dove i terroristi erano immersi in quartieri-ghetto, come Molenbeek. Da noi non ci sono mondi o società parallele, per fortuna». L’ultima operazione delle forze dell’ordine, che ha portato alla cattura di tre persone accusate di essere componenti di una cellula jihadistanel nostro Paese, non modifica i termini della questione, secondoWael Farouq, che giovedì scorso a Milano è intervenuto al seminario organizzato dalla Fondazione Ismu all’interno dei 'Dialoghi di vita buona'. Per il docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano, originario dell’Egitto, «più dell’islam, adesso contano i musulmani. Più dell’Occidente, le comunità nazionali e locali». Professor Farouq, i tre fermati sono tutti under 30. Quanto è con- creto il rischio di radicalizzazione per i giovani islamici? La crescita del fondamentalismo islamico in Europa avviene grazie a organizzazioni legate al mondo wahabita fortemente finanziato dall’Arabia Saudita. Il punto è non permettere che tutto questo porti a una strumentalizzazione della religione, magari da parte di chi interpreta solo qualche versetto del Corano e non conosce il resto. Qual è a suo avviso l’errore che stiamo compiendo? Ci stiamo concentrando tutti sul rispetto delle regole e dei valori per chi viene ad abitare in Italia, ma l’Europa non può essere solo un elenco di leggi e di norme. È qualcosa di più grande, che precede tutto questo. In che senso? È in atto un ridimensionamento culturale che la civiltà occidentale non merita. In questa terra, c’è una bellezza ancora tutta da narrare e da trasmettere a chi, ad esempio, viene da storie di dittatura e dominio post-coloniale. Ricordo ancora la mia adolescenza, quando attendevo con ansia l’arrivo delle riviste europee tradotte in arabo: negli anni Settanta era per me il racconto di un mondo nuovo tutto da scoprire. Oggi parliamo di organizzazioni, di numeri e di gruppi, ma non conosciamo le persone. Partiamo dall’analisi della situazione presente: quali passi sono stati fatti e quali andranno compiuti per poter camminare insieme? Da un lato viviamo ancora come se fossimo delle isole: italiani da una parte, musulmani dall’altra, cristiani copti da un’altra ancora. Dobbiamo ricostruire invece un 'io' da cui iniziare un percorso. I cittadini musulmani che non parlano italiano, ad esempio, sono un problema, perché la comunicazione è fondamentale per creare una relazione. Allo stesso modo, c’è molto da fare per arrivare a una forma di islam attuale, contemporaneo. Eppure l’integrazione c’è già: all’Università Cattolica studiano centinaia di musulmani perfettamente inseriti nei corsi accademici e nella vita della città e lo stesso avviene nelle scuole superiori della provincia. Non esiste però un problema di rappresentanza per l’islam italiano? Sì, esiste. Nessuno può parlare a nome dell’islam italiano ma, ripeto, è della realtà dei musulmani presenti in questo Paese che dobbiamo occuparci. Voglio ripeterlo: non esiste un islam buono e un islam cattivo. Ci sono musulmani che hanno rinunciato all’uso della ragione e musulmani che usano la ragione. Ma una singola persona può integrarsi solo dentro una comunità che sa ascoltare e accogliere. È a questo traguardo che dobbiamo puntare. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intellettuale egiziano Wael Farouq
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