domenica 28 novembre 2021
Parla l'ex segretario del Ppi, eletto capogruppo Dc dai "peones": ma stavolta sbaglierebbero a non seguire l'indicazione. Solo l'attuale premier tiene unito il sistema, non votarlo sarebbe un suicidio
Gerardo Bianco al Quirinale, ricevuto da Sergio Mattarella

Gerardo Bianco al Quirinale, ricevuto da Sergio Mattarella - Archivio Quirinale (2017)

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Con Gerardo Bianco inizia una serie di interviste in vista dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica. La scadenza del settennato di Sergio Mattarella cade - a inizio febbraio - in un momento del tutto eccezionale, nel pieno, ancora, della pandemia, con una serie di impegni da onorare con l'Europa nel piano di investimenti e riforme in fase di definizione, a sua volta senza precedenti. A completare un quadro inedito e irto di incognite l'avvicinarsi del fine legislatura con l'entrata in vigore della riduzione del numero dei parlamentari che è diventata legge e comporterà un altro delicato passaggio istituzionale, Un quadro che ha indotto alcuni a ipotizzare un "bis", magari a tempo (una sorta di "prorogatio"), per l'attuale inquilino del Colle, che però ha più volte confermato e motivato la sua netta contrarietà. Sentiremo quindi il parere di alcuni protagonisti di grande esperienza della scena pubblica e istituzionale diversi per cultura e ispirazione, ma portatori di una preziosa memoria storica che può aiutarci a capire qual è la posta in palio e quali sono gli strumenti per superare in modo positivo questo snodo cruciale della nostra storia nazionale. (A.Pic.)

«Eleggere Draghi alla prima votazione, per mettere in sicurezza il sistema Italia, il governo e anche la legislatura». Parola di Gerardo Bianco, uno che ne ha viste tante. I suoi 90 anni, con l’ausilio del bastone e un’inaspettata barba bianca, lo vedono ancora impegnato in mezzo ai 60mila libri di cui è dotata la Fondazione Animi (Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia) di cui è presidente. È stato tante cose nella sua lunga vita di latinista prestato a titolo definitivo alla politica. Due volte capogruppo della Dc, fece epoca la sua prima elezione nel 1979, a seguito della rivolta dei "peones" contro l’indicazione di Giovanni Galloni. Fu poi ministro della Pubblica Istruzione, subentrando al governo quando gli uomini della sinistra Dc - fra questi Sergio Mattarella - si dimisero a seguito dell’approvazione di un piano frequenze tv considerato un favore a Silvio Berlusconi. Ma quando - nel dopo Tangentopoli - il Partito popolare si spaccò e nacque il Cdu di Rocco Buttiglione, si ritrovò sullo stesso fronte con l’attuale capo dello Stato, e divenne segretario del Ppi. Una seconda giovinezza politica, per lui, contrassegnata dal soprannome Gerry White.

Partiamo proprio da Mattarella, e dall’ipotesi di un bis, magari a tempo, che molti avanzano. Lei che lo conosce bene, lo vede stanco e irremovibile nel suo 'no'?
Trovo che tutto sia meno che stanco, Mattarella. Lo confermano gli ultimi, incisivi, interventi sul momento civile e istituzionale del Paese. La sua scelta, in linea con tutta la sua azione da capo dello Stato, è ispirata alla chiara coscienza costituzionale che il mandato presidenziale vada mantenuto nei termini previsti, e che ogni forzatura ne altererebbe lo spirito. Lo muove un’ispirazione,costituzionale e giuridica, irremovibile. Credo sia destinato a entrare nella storia come il miglior presidente di area democristiana.

C’è chi fa riferimento, per convincerlo, alla straordinarietà della situazione, fra pandemia e riduzione del numero dei parlamentari.
La presidenza della Repubblica non può essere usata come un chiavistello, magari con soluzioni "a tempo", per risolvere i problemi che le forze politiche non sanno risolvere. Mattarella le inchioda alle loro responsabilità, il suo è un richiamo alla buona politica, a evitare suggestioni che porterebbero gravi distorsioni.

Lei quindi punta su Draghi al Quirinale.
Sarebbe una grande prova di maturità, per le forze politiche. Dimostrerebbero di saper affrontare le tante questioni aperte con una soluzione che scaturisce naturale, e sarebbe un segnale di saldezza delle nostre istituzioni.

Anche per l’Europa?
Rappresenterebbe una polizza assicurativa per tutto lo scacchiere internazionale, il segno che l’Italia resta in linea con la sua tradizione europeista e occidentale, senza tentennamenti di tipo sovranista.

Ma perché lo dovrebbe votare, allora, Salvini?
Escludo che possa sottrarsi dopo averlo sostenuto al governo.

E Meloni?
Potrebbe votarlo nell’illusione di andare subito dopo alle urne. Ma sarebbe un calcolo sbagliato. Con Draghi si aprirebbe una stagione di responsabilità, nessun voto anticipato.

Ma in Europa, e anche a più ampio raggio, tanti potrebbero avere interesse a continuare ad avere Draghi dov’è, per il ruolo che sta svolgendo nei grandi consessi internazionali, in un momento di passaggio che vivono la Germania e la
Francia, ma anche gli Usa.
È un problema sopravvalutato, a mio avviso. E poi, come Mattarella ha dimostrato, una leadership può essere ben esercitata anche dalla Presidenza della Repubblica.

Un semi-presidenzialismo di fatto, per dirla con Giorgetti?
Stimo Giorgetti, ma in questo caso dissento. Sono per il rispetto dei diversi ruoli istituzionali, e Draghi conosce bene la Costituzione.

Avanti tutta su Draghi, comunque.
Non vedo altra strada. Fra l’altro se una candidatura naturale come la sua non venisse presa in considerazione, si rischierebbe di bruciare una grande personalità. I grandi meriti non forniscono una garanzia a vita. Persino De Gasperi, uno che aveva rimesso in piedi l’Italia, fu accantonato, nel 1953, per colpa dei cosiddetti 'illuminati', categoria di cui diffido.

E i parlamentari che temono il voto anticipato perché dovrebbero votarlo? Non si rischia una nuova ribellione dei 'peones'?

A parte che se c’è un accordo largo il singolo voto diventa ininfluente, una ribellione in questo caso si rivelerebbe una sorta di suicidio. Draghi è una garanzia per tutti, con lui sopravvivono anche loro, mentre se salta il sistema non si salva nessuno.

E per il governo che si fa?
Ci sono due possibili soluzioni. La più naturale sarebbe il prosieguo di questa collaborazione, rafforzata dalla convergenza su Draghi. Ma se non ci fossero le condizioni non dimentichiamo che il governo Conte non è stato mai sfiduciato, e in astratto, con una presa di responsabilità dei leader, a partire da Renzi, potrebbe anche essere ripristinata quella maggioranza.

Quindi voto al primo scrutinio, come con Cossiga?
Quella fu più che altro l’intesa fra due grandi forze politiche, la Dc eil Pci, abilmente orchestrata da De Mita. Qui invece occorre un concerto, una partecipazione corale delle forze politiche.

Ma i partiti hanno ancora quel peso?
È questo il punto. La speranza è che l’elezione del presidente della Repubblica possa contribuire a rilanciare il sistema politico, superando il personalismo che lo caratterizza.

Ma a tal proposito, le ambizioni personali di Berlusconi non sono un ostacolo in questo percorso? Crede che avrebbe chance, se insistesse?
Ne ha poche, legate proprio all’ipotesi che prevalgano le ambizioni personali e gli interessi di parte sull’interesse superiore del Paese. Un rischio da evitare.

Draghi come Ciampi, allora. Anche lui ex Bankitalia, da Palazzo Chigi passò al Quirinale. È vero che lo propose lei?
Lo proposi, da capogruppo, come presidente del Consiglio, dopo la verificata impossibilità per Prodi. E fu una grande scelta.

E Draghi al Quirinale chi dovrebbe proporlo?
Tocca al Pd fare il primo passo, ma senza pretese di primogenitura, tutti dovranno potersi ritrovare.

Vede analogie fra Draghi e Ciampi?
Ciampi era uno che ascoltava tutti, ma poi decideva in autonomia.

Un po’ come Draghi...
Vedo caratteristiche simili, ma in Draghi vedo anche la dimensione del credente (lo era anche CIampi, a dire il vero, ma in lui prevaleva l'impostazione laico-azionista) a influenzare le sue scelte. Sarebbe un grande presidente.


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