sabato 9 gennaio 2010
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«Non cadiamo nell’errore di pensare che l’agricoltura italiana sia fatta tutta di sfruttamento dei lavoratori extracomunitari». Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, la più grande organizzazione di imprenditori agricoli, prende nettamente le distanze da quel che sta emergendo a Rosarno, dallo scenario che sta alle spalle delle violenze di questi giorni.La raccolta dei pomodori a Castelvolturno e in Puglia, gli agrumi in Calabria e in Sicilia, gli ortaggi nella piana del Sele... non sono pochi i casi nei quali si assiste allo sfruttamento della manodopera straniera, costretta a vivere in situazioni degradate.Sì, ma questi esempi non sono la "normalità" dell’agricoltura italiana, piuttosto una patologia, assai grave in alcune zone a causa della presenza della criminalità organizzata. È nel tessuto in cui la malavita opera che vanno iscritte queste situazioni, nelle quali si fa leva sulle difficoltà di chi è qui, in maniera spesso irregolare, e ha necessità di lavorare per sfamarsi.L’agricoltura italiana, però, ormai non può fare a meno dei lavoratori stranieri.Questo è vero, ma lo sfruttamento e il caporalato sono cose completamente diverse dalle necessità e anche dalle difficoltà del mercato del lavoro italiano. I lavoratori stranieri regolari nei nostri campi sono 90mila su 900mila a tempo determinato e 1.280.000 occupati complessivi. Ci sono difficoltà a reperire la manodopera, è vero: i decreti-flussi sono uno strumento inadeguato, passano troppi mesi fra le richieste e le effettive disponibilità, le aziende faticano a organizzarsi. La stessa legge Bossi-Fini andrebbe migliorata e "tarata" sulle esigenze del nostro settore caratterizzato dal lavoro stagionale. Solo con il recente sistema dei voucher ci è stato offerto uno strumento utile.Ma riguarda solo gli italiani o gli stranieri regolari, mentre se si presenta un clandestino non potete offrirgli direttamente un contratto di lavoro perché non ha il permesso di soggiorno. E se non ha un contratto non può avere il permesso di soggiorno... un cane che si morde la coda.È così. Ma il ricorso al lavoro nero non può essere mai la risposta. Perché nasconde lo sfruttamento e una concorrenza sleale verso le altre imprese. Perciò noi lo rifiutiamo. E le imprese che utilizzano mezzi illeciti non sono aziende degne di sopravvivere.Siete disposti ad espellere le eventuali imprese vostre associate che ricorressero allo sfruttamento della manodopera?Noi non contempliamo di tutelare in alcun modo chi utilizza lavoro "in nero". E vorrei sottolineare come gli associati a Confagricoltura da soli facciano il 63% dei contributi che vengono versati all’Inps per i lavoratori agricoli, qualcosa come 100 milioni di giornate denunciate all’ente previdenziale ogni anno.Ma allora come è possibile che non si individuino dove lavorano i clandestini: mancano i controlli?I controlli da parte dell’Inps e degli ispettori sono molto aumentati e infatti c’è stato un calo significativo del lavoro nero nei campi. Diverso è il controllo del territorio che, dove manca, evidentemente lascia spazio per operare alla criminalità.Per le verifiche durante la vendemmia al Nord si vedono volare gli elicotteri sulle vigne a caccia di irregolarità, poi invece a Rosarno ci sono migliaia di disperati nei campi e nessuno controlla. Come se lo spiega?È vero, le nostre imprese sono ipercontrollate. Non credo però che problemi così complessi come l’immigrazione clandestina e la criminalità organizzata possano essere risolti da un comandante della stazione dei carabinieri...
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