martedì 17 maggio 2016
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ROMA Federico Pizzarotti chiede, per ora senza esito, di incontrare l’assemblea congiunta dei parlamentari M5S e il direttorio. E il movimento, proprio mentre vive in prima persona un caso che tocca i rapporti interni a una forza politica, chiede di togliere dal progetto di legge di riforma dei partiti, in discussione alla commissione Affari costituzionali della Camera, l’obbligo della democrazia interna. Il sindaco di Parma - che per motivi istituzionali è partito ieri alla volta di Corfù, dove resterà fino a giovedì sospeso nei giorni scorsi dal movimento perché indagato, continua la sua battaglia interna e insiste nel chiedere a gran voce l’incontro, proponendo una diretta streaming e che siano i parlamentari ad andare a Parma, non lui a Roma. «Cosa c’entrano i parlamentari?», l’interrogativo con cui chiudono la porta autorevoli esponenti del M5S. La prossima riunione congiunta - trapela - è prevista dopo le elezioni amministrative (a Roma per chiudere la campagna è previsto l’arrivo di Beppe Grillo in piazza del Popolo). Tradotto: inutile, anzi dannoso, continuare a litigare prima delle ammini-strative. «Come al solito non sono io che mi sottraggo al dialogo», commenta il primo cittadino. Uno dei big del movimento, Luigi Di Maio, continua tenere il punto: «Chi non rispetta le regole, non fa parte del M5S», ha detto intervenendo a un’iniziativa del gruppo pentastellato al Consiglio regionale toscano. Sui rilevi di Pizzarotti e del Pd sull’opportunità di scrivere 'mail anonime', il vicepresidente della Camera ironizza: «Era lo staff di Beppe Grillo, mica di Zorro». E sul suo ruolo in un’intervista precedente precisa di non avere «alcun potere di decidere sospensioni o espulsioni», cosa che «spetta al garante che è Beppe Grillo». Affermazione quest’ultima che viene accolta dagli strali dem. Sulle vicissitudini interne si innesca anche la polemica con il Pd, rinfocolata dalla richiesta di modifica della legge sui partiti. Con il responsabile Giustizia di largo del Nazareno, David Ermini, che accusa il M5S di essere «allergico alla democrazia». Il deputato pentastellato Danilo Toninelli spiega in modo opposto la ratio degli emendamenti presentati, sostenendo che «il metodo democratico interno è già previsto all’articolo 18 della Costituzione», mentre le norme contenute nel testo base - predisposto dal relatore Matteo Richetti (Pd) unificando i vari presentati - «violano l’articolo 49 della Costituzione. Il metodo democratico può e deve essere solo esterno al partito». Quello che M5S contesta è il tentativo di far «rientrare dalla finestra» quanto prevedeva uno dei testi precedenti, a firma del vicesegretario dem Lorenzo Guerini, che - prosegue Toninelli «ci obbligava a diventare un partito». Il deputato si chiede poi cosa significhi l’espressione 'metodo democratico interno'. «Chi decide, il Pd?», polemizza. Quelli di Toninelli sono due dei tre emendamenti del M5S. L’altro, di Federica Dieni, vuole sopprimere l’obbligo per i partiti di avere un sito web con una sezione 'Trasparenza in materia di risorse, decisioni e procedure', dove pubblicare tutte le informazioni sugli atti interni, nonché composizione e selezione degli organi deliberativi esecutivi e di controllo. Altri emendamenti, già ribattezzati 'salva-Pizzarotti' (e presentati da Lega, Si ed ex M5S), vogliono invece imporre la separazione tra organi disciplinari ed esecutivi. (G. San.) © RIPRODUZIONE RISERVATA Federico Pizzarotti (Ansa)
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