domenica 27 ottobre 2019
La Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha ben 3 donne nelle prime 4 posizioni di vertice, ma non basta. La rettrice: «Il sistema accademico non è ancora abbastanza attento»
Sabina Nuti, rettrice della Scuola Superiore Sant'Anna

Sabina Nuti, rettrice della Scuola Superiore Sant'Anna

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«Il merito e il talento non hanno genere, così come non hanno colore della pelle. Quando i parametri di valutazione sono oggettivi, anche le donne riescono ad emergere. Su questo fronte noi a Pisa abbiamo fatto tanto, ma molto resta da fare: il soffitto di cristallo esiste ancora».

Anche alla Scuola Superiore Sant’Anna, non soltanto la prima università italiana nel ranking internazionale di The (Times Higher Education), ma anche quella più “rosa”, con tre donne nelle prime quattro posizioni apicali, la componente femminile è ancora largamente sottorappresentata. Riequilibrare questi rapporti è un obiettivo ai primi posti dell’agenda della rettrice Sabina Nuti, da maggio seconda donna al vertice dell’ateneo (290 allievi per la formazione universitaria integrativa con l’Università di Pisa e 345 allievi di dottorato, tutti super-selezionati) dopo Maria Chiara Carrozza, che ha guidato il Sant’Anna dal 2007 al 2013.

La rettrice Nuti – una delle sole sei donne al vertice delle 82 università aderenti alla Crui – è affiancata da altre due colleghe: la prorettrice vicaria Arianna Menciassi e la preside della Classe accademica di Scienze sociali, Anna Loretoni. Enrico Pè, invece, è preside della Classe di Scienze sperimentali. Ma le buone notizie finiscono qui. Se tra il personale amministrativo del Sant’Anna le donne sono il 62%, scendono a circa il 40% tra il personale di ricerca, al 25% tra i professori e al 17% tra i soli professori ordinari. Numeri che confermano nella rettrice Nuti questa convinzione: «Il sistema universitario non è sempre attento al cammino professionale delle donne».

Un fattore che la stessa rettrice ha subìto nel corso della carriera. Madre di quattro figli, è diventata professoressa ordinaria dopo i colleghi uomini, proprio “a causa” del tempo dedicato alla cura della famiglia. «Una scelta che rifarei a occhi chiusi – sottolinea Nuti – perché crescere i miei figli ha dato un grande impulso anche alla mia crescita professionale. Certo, ho scontato un ritardo nella progressione della carriera. Per questo, dico che il sistema deve cambiare. Perché una donna non dovrebbe mai sentirsi in colpa per avere dedicato tempo ai figli e alla famiglia». Tra i primi interventi strategici, la rettrice ha quindi pensato di «dedicare molta attenzione anche alla selezione delle Commissioni di concorso, affinché la componente di genere sia correttamente rappresentata e il rischio di gender gap sia effettivamente ridotto».

Tra le misure richieste al Miur, la rettrice della Scuola Sant’Anna inserisce una «modalità diversa di misurare i tempi professionali». In sostanza, oggi la produttività scientifica di un ricercatore universitario è misurata rispetto agli anni di lavoro. «Per le donne che hanno figli e che devono interrompere l’attività sono previsti sei mesi di maternità, ma non bastano», sottolinea Nuti. Che ricorda come, in ogni caso, «chi svolge attività di ricerca non riesce mai a staccare completamente». Con il risultato che tante giovani ricercatrici-madri subiscono il «forte stress» di dover portare avanti, in parallelo, la cura del neonato e l’attività universitaria.

«Nella ricerca – ribadisce la rettrice – si è sempre coinvolti. Per questo dico che sarebbe necessario prevedere più tempo per le donne che diventano madri. Una misura che, favorendo la famiglia, farebbe bene non soltanto alle donne, ma a tutto il Paese».

Il “messaggio” arriva anche da tanti giovani ricercatori uomini. L’ultima indagine sul “Clima organizzativo (lavorativo)”, realizzata la scorsa estate tra il personale del Sant’Anna, ha visto uomini e donne dare il medesimo giudizio sulle misure prese dall’ateneo per favorire la conciliazione famiglia-lavoro. «Il “voto” non è stato molto positivo e su questo fronte dobbiamo ancora migliorare – ammette Nuti –. Però, il fatto che donne e uomini abbiano dato quasi la medesima rilevanza alla conciliazione, ci fa dire che questo è un tema che sta a cuore non soltanto alle donne, ma alle giovani famiglie in generale».

Da qui la decisione della Scuola Sant’Anna di potenziare lo smart work, il lavoro da casa, una scelta che, conferma la rettrice, «ha avuto grande successo, anche sulla produttività. Perché persone più serene e soddisfatte lavorano meglio».

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