venerdì 19 aprile 2013
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Il numero di persone che per smettere di giocare si presenta agli sportelli dei SerD, i Servizi pubblici per le dipendenze, cresce di anno in anno del 30-40 per cento. «Per nessuna altra forma di dipendenza abbiamo mai visto un incremento così rapido delle richieste di aiuto», dice Alfio Lucchini, presidente nazionale Federserd, psichiatra da oltre trent’anni impegnato sul fronte delle tossicodipendenze.I dati presentati nei giorni scorsi a Milano smentiscono quindi il tono rassicurante con cui Massimo Passamonti, coordinatore dell’area giochi e intrattenimento di Confindustria, qualche giorno fa ha sostenuto a Unomattina che «non ci sono casi di ludopatia certificati», aggiungendo che «i Serd hanno accertato casi rarissimi». «Rarissimi non direi proprio», obietta Lucchini. «Quelli ufficiali riportati dalla Relazione annuale al Parlamento 2012 sull’uso di sostanze stupefacenti e sulle tossicodipendenze in Italia parlano di 4.657 persone trattate per gioco patologico nei centri pubblici, nelle 15 Regioni per le quali erano disponibili i dati del 2011». Quelli provenienti dalla rete di FeDerSerD, che copre tutto il territorio italiano attraverso 550 Centri, sono in linea con questi: «Attualmente gli italiani in cura per gioco d’azzardo patologico sono 7.000, ma se il loro numero continuerà a crescere allo stesso ritmo degli ultimi anni l’anno prossimo potrebbero essere 10.000», riferisce l’esperto.E questa non è che la punta dell’iceberg, perché sono pochi quelli che ammettono di avere un problema, e cercano aiuto. «Qualcuno arriva a calcolare che i giocatori patologici in Italia potrebbero essere un milione, ma se anche fossero solo la metà, cioè 500.000, la quota che finora ha trovato un luogo di accoglienza, diagnosi e cura resterebbe una minoranza». Mancano ancora anche valutazioni economiche accurate dei costi sociali ed economici del fenomeno. La cifra di 90 miliardi di euro cui spesso si fa riferimento rappresenta solo quel che i cittadini effettivamente spendono per passare il loro tempo o alimentare la speranza di un futuro migliore, senza tenere conto delle conseguenze di tutto ciò». Con un investimento di oltre dieci volte inferiore, pari a 80 milioni di euro, si potrebbero fornire alle Asl le risorse sufficienti per rinforzare le loro équipe con due-tre specialisti in più, in modo da poter fronteggiare in maniera adeguata il continuo aumento di richieste, propone l’esperto. Un anno di trattamento ambulatoriale, basato per lo più su una psicoterapia mirata, spesso di gruppo, viene infatti a costare in media circa 2.500 euro a paziente. Le cifre aumentano quando si deve ricorrere a comunità terapeutiche, che comunque in questi casi non prevedono lunghi ricoveri, ma trattamenti che si esauriscono in un paio di settimane o si concentrano nei weekend. «Ma i casi che richiedono un intervento così intensivo, per fortuna, sono ancora una minoranza», conclude Lucchini.
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