martedì 28 settembre 2021
Sua madre era morta in Costa d’Avorio e lei era rimasta con i nonni paterni. Il calvario del padre per riaverla, dai soldi ai passeur fino alla lunga trafila burocratica
Due anni fa sbarcò da sola a Gran Canaria, dopo 4 giorni in balìa delle onde. L’affidamento provvisorio dopo l’accoglienza, poi il difficile percorso compiuto dal padre

Due anni fa sbarcò da sola a Gran Canaria, dopo 4 giorni in balìa delle onde. L’affidamento provvisorio dopo l’accoglienza, poi il difficile percorso compiuto dal padre - Foto di repertorio / Reuters

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Mace ha solo 9 anni, ma alle spalle un’odissea da migrante bambina vissuta da sola, e nell’animo le cicatrici provocate dal calvario alla frontiera. La bambina ivoriana aveva soli 7 anni quando fu soccorsa con altri 28 giovani africani su un barcone al largo dell’isola di Gran Canaria, dopo 4 giorni di traversata in balia delle onde. Era il 30 marzo 2020 e i volontari della Cruz Roja che la accolsero, spaventata e affamata, nel porto di Arguineguin, in un Paese paralizzato dal lockdown, rimasero di stucco nello scoprire che aveva viaggiato senza genitori o familiari.

Poi, poco a poco riuscirono a rompere la sua corazza di silenzio e a ricostruire brandelli della sua storia. Sua madre era morta in Costa d’Avorio e lei era rimasta con i nonni paterni. Il padre, Bamba, emigrato alla sua nascita in Francia, dove lavora ma dal 2012 è in attesa di regolarizzazione, non potendo andare a prenderla senza rischiare l’arresto o l’espulsione, aveva pagato 6mila euro perché la bambina partisse in aereo dall’Africa con un visto per la Francia. Mace fu invece portata in Marocco in una traversia durata 9 mesi per mezza Africa, affidata a persone sconosciute. Poi, su una spiaggia della costa del Sahara occidentale, imbarcata su un legno vecchio per raggiungere le Canarie. «Non avrei mai messo a rischio la vita di mia figlia per mare, ma quell’uomo, un trafficante, mi ingannò» ha riconosciuto il padre alla radio Cadena Ser.

Agli errori commessi dal papà, vanno aggiunti gli ostacoli legati alla burocrazia. Solo con l’aiuto dei servizi sociali francesi e dei tecnici del servizio di protezione dell’infanzia e della famiglia delle Canarie, l’uomo è riuscito finalmente ad aprile a riabbracciare la figlia, e a riportarla a luglio con sé in Francia. Adesso ha voluto però raccontare «il lungo calvario», per ringraziare i tanti che lo hanno aiutato a localizzare Mace e ne hanno avuto cura. Ma anche per denunciare il percorso a ostacoli per i ricongiungimenti familiari imposto dagli Stati europei, che aggrava drammi già terribili come quelli dovuti aun distacco prolungato nel tempo, spesso in anni cruciali di formazione per tante famiglie. «Per Mace rivedermi e reincontrarmi non è stato affatto facile, mi rifiutava» ha spiegato il padre naturale, ammettendo le difficoltà di questi mesi. «Mi ha chiesto di chiamare in video il nonno in Costa d’Avorio e vederlo l’ha tranquillizzata, ma è stato duro». Al servizio di protezione dell’infanzia e della famiglia delle Canarie assicurano che si tratta di un caso di integrazione di successo.

Nonostante la pressione enorme degli arrivi, con la rete di accoglienza sottodimensionata per far fronte a 2.300 minori non accompagnati, la vicenda della piccola ivoriana è stato seguito dall’inizio con particolare attenzione. Riconoscono tuttavia che «si è tardato troppo per una bambina tanto piccola», nel percorso difficile di ricongiungimento con il padre naturale. Mace ha cominciato la scuola, ma ci vorrà tempo per abituarsi al nuovo contesto e superare il dolore del distacco dalla prima famiglia di accoglienza, che ha sempre considerato come la sua vera famiglia. «Non ho parole per ringraziarli – assicura il padre biologico –. Ho promesso a Mace che resteremo sempre in contatto e andremo a visitarli durante le vacanze scolastiche. Spero solo di vedere la mia bambina di nuovo sorridere».


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