venerdì 6 giugno 2014
Utilizzo dei soldi stanziati da Bruxelles per le aree meno sviluppate: iIl sottosegretario Delrio ammette che nel 2007/13 c'è stata la peggiore prova di sempre. "Ora cambiare".
«Usiamoli per chi assume gli under 35» di Francesco Delzio, manager e scrittore
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Sono tanti, spesi poco e - per di più - mediamente anche spesi male. E potrebbero divenire sempre più una pedina nella delicata partita su più piani che il premier Matteo Renzi si appresta a giocare a Bruxelles dove all’Italia, Paese contributore netto (cioè dà all’Ue più di quel che riceve, circa 16 miliardi contro 11 nel 2012), sta per essere assegnata un’altra megatorta da 32,8 miliardi di euro da qui fino al 2020. I fondi stanziati dalla Ue fra tutti gli stati nell’ambito della cosiddetta 'politica di coesione' dell’Unione sono storicamente una nota dolente della politica italiana. In un Paese che vede oggi disoccupato quasi un giovane su due (il 45,6%, secondo l’ultimo dato Istat). Casomai ce ne fosse bisogno, ad averlo ammesso ieri è stato Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio (con la delega sulla gestione di questo flusso di denaro): «Siamo nella peggiore performance mai avuta dal-l’Italia, il 2007-13 è stato il settennato peggiore», ha detto - davanti alla commissione Politiche Ue del Senato - il sottosegretario, e questo malgrado «gli sforzi enormi» dei suoi predecessori Barca e Trigilia (che diedero vita a un nuovo contenitore per il loro utilizzo, da cui è scaturito a esempio il 'Grande progetto Pompei'). Per Delrio il «tempo perduto», infatti, si è «concentrato soprattutto nei primi 3-4 anni» del settennato, poi c’è stato un recupero, ma ora «dobbiamo imparare dagli errori». A tal proposito ha assicurato come la nuova 'Agenzia per la Coesione' (sono già pervenute «circa 50 candidature» per la direzione), che fungerà da supporto alle Regioni nella gestione dei fondi, «sarà operativa in tempo per l’avvio dei nuovi programmi». Cioè entro «fine agosto», quando sarà approvato il nuovo accordo di partenariato.  La riprova della pessima fama italiana si è avuta appena qualche giorno fa, quando la Bild (giornale popolare tedesco) ha pubblicato un articolo sulla Sicilia e il sud Italia con l’eloquente titolo 'Qui sprofondano i miliardi dell’Ue'. Anche se l’articolo della Bild si riferiva in realtà all’insieme dei fondi europei, senza spingersi a tanto questo primato negativo (solo Romania e Croazia ci superano nel peggior uso dei fondi strutturali) è stato oggetto lo scorso febbraio anche di un corposo rapporto della Corte dei Conti, che segnalava gravi disfunzioni. Non universali, peraltro: alcune Regioni (vedi il Trentino) i fondi li spendono quasi per intero. Nell’elenco delle regioni più 'irregolari' spiccava appunto la Sicilia: 148 i milioni di euro finiti nelle tasche sbagliate. mln di euro) Non è, in ogni caso, un problema solo di frodi e di truffe. La questione investe l’utilità stessa di questo fiume di denaro. Non tutto è negativo: un bilancio lo si trova in un rapporto della Commissione dello scorso marzo, dove si afferma che sarebbero oltre 47mila i posti di lavoro creati in Italia, oltre a 3.700 imprese avviate nel periodo 2007/13, quando lo stanziamento era inferiore (28,8 miliardi per la sola parte europea, da cofinanziare poi per un pari importo dallo Stato italiano). Come 'fiore all’occhiello' viene citato il progetto Tecnopoli in Emilia-Romagna: 294 milioni (94 provenienti dal fondo Fesr) coi quali è stata riunita una rete di 10 centri di ricerca per impiegare 1.600 addetti. Mentre, nell’ambito del Fse (vedi a lato) viene citato 'Meccanismo scuola', programma che a fine 2013 aveva coinvolto 400mila studenti in stage o in periodi di studio all’estero.  Cose tutte buone e giuste, ma che cozzano con l’immensa macchina amministrativa (e 'mangia-soldi') messa in moto per questa partita. Che è, al tempo stesso, il terreno di coltura per favorire casi di corruzione e il limite all’utilizzo di questi fondi. Per ammissione delle stesse Regioni, in Italia abbiamo poche professionalità capaci di far marciare progetti con i fondi di Bruxelles. Questi, infatti, richiedono una pianificazione 'dal basso' che deve coinvolgere tutti gli attori politico- amministrativi, dal governo agli enti locali, passando per sindacati, associazioni e imprese. È una macchina-monstre che produce ogni anno migliaia di pagine di piani nazionali e regionali, nei quali è una volta di più la burocrazia a farla da padrona. E che sfocia in una miriade di micro-interventi difficili da catalogare: si parla di oltre 10mila. A sfogliare, armandosi di pazienza, gli elenchi regionali degli anni scorsi c’è solo l’imbarazzo della scelta, per progetti, a volte inverosimili, dei quali è difficile cogliere una vera leva 'moltiplicatrice' di sviluppo.  A meno di pensare che questo passi per la 'bellezza': l’Emilia-Romagna, dal 2007, ha così finanziato corsi per estetiste che sono costati 39,5 milioni di euro. Erano tutti utili, o si sono in parte dispersi in quel sottobosco di enti e agenzie nazionali e regionali per la formazione? E che dire dei 28 milioni stanziati dal Lazio per 'acconciatori' e degli 11,7 della Toscana per 'air stylist', scritto così nel bando, senza h? Certe Regioni hanno persino microfondi per start up, dotati di pochi milioni. Non mancano casi pure di grandi aziende che accedono a questi flussi: in Piemonte, la Fiat di Marchionne ha incassato 3,59 milioni per 'bandi di formazione' al Lingotto. Pirelli e la ferroviaria Ntv non sono state da meno. Una montagna di soldi che potrebbe essere spesa invece per favorire più direttamente la creazione di lavoro. Davanti ai numeri drammatici della disoccupazione, potrebbe essere l’ora di osare una strategia diversa.
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