giovedì 17 dicembre 2020
La litigiosità nella maggioranza non agita Bruxelles, ma «il caso italiano è sotto esame. C’è un interesse europeo alla situazione del nostro Paese»
Il senatore a vita Mario Monti, ex presidente del Consiglio

Il senatore a vita Mario Monti, ex presidente del Consiglio - Ansa

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Le tensioni politiche nella maggioranza che sostiene il governo del premier Giuseppe Conte quanto pesano rispetto alle valutazioni dell’Ue sul Recovery plan? Al telefono con Avvenire, il professor Mario Monti, economista, già presidente del Consiglio e senatore a vita, offre la sua valutazione: «Non credo che abbiano un effetto diretto, a questo punto il Consiglio Europeo ha già deciso. Ma possono preoccupare Bruxelles se dovessero avessero riflessi sulla capacita e la tempestività dell’Italia nell’ultimare il Piano di ripresa e resilienza. Quello italiano – a causa dell’insoddisfacente condotta in passato nell’uso dei fondi strutturali – è un po’ il caso in esame in Europa. E quindi c’è di sicuro un interesse europeo a che l’Italia sia stabile e lavori bene».

Come valuta la bozza del Pnrr circolata nei giorni scorsi?
Vedo i pregi dell’impronta data a livello Ue, anche col contributo dell’Italia, che guarda al lungo periodo, alla duplice transizione digitale e verde, alla sostenibilità e all’inclusività. Vedo per ora i limiti di un’articolazione concreta appena accennata. Ma so, e me ne rallegro, che la Ue sarà molto esigente su questo, con tutti i Paesi.

Condivide le perplessità sulla cabina di regia avanzate da alcuni partiti?
Una regia politica ci vuole assolutamente, in capo al presidente del Consiglio e al governo. Il Parlamento dovrà essere chiamato a dare il suo consenso decisivo, nelle fasi cruciali. Governo e Parlamento dovranno consultare tutti gli stakeholders, ma senza cedere a nessuno il potere di decidere, perché andrebbe a scapito dello stakeholder più importante: le prossime generazioni.

Da 1 a 10, quanto la preoccupa la gestione di un programma che ci dovrà vedere capaci di saper ben spendere 209 miliardi di euro in un Paese che, negli ultimi 7 anni, ha saputo impiegare solo 16 dei 40 miliardi di fondi strutturali?
Se guardo alle scarse realizzazioni del passato, la mia preoccupazione è molto alta, 8 su 10. Se poi guardo, oggi, alla cultura politica di diversi partiti e alla qualità del dibattito pubblico su questi temi, sono ancora più preoccupato, 10 su 10. E in qualche caso, in questa peculiare scala alla rovescia che lei mi fa usare, comminerei anche la lode. Se però guardo ai prossimi 3–6 anni, l’arco di questo piano, devo essere più fiducioso. Non posso credere che un Paese intero voglia suicidarsi, sprecando quest’ultima occasione per dare ai propri figli un avvenire decoroso, che li metta almeno un grado di impegnarsi, di sperare.

Ritiene un’eresia pensare, come pare che stiano valutando Spagna e Portogallo, di usare solo in parte gli aiuti Ue per concentrarsi su progetti ad alto rendimento?
Spagna e Portogallo hanno sempre saputo trarre grandi benefici dai fondi europei. Nonostante questo, forse preferiranno non fare il passo più lungo della gamba. Spagnoli e portoghesi, a differenza di tantissimi italiani, non pensano che un alto indebitamento dello Stato giovi alla crescita. E non credono di avere verso l’Europa una sorta di “diritto morale al risarcimento” per i danni che con le sue politiche, peraltro decise in comune, avrebbe arrecato ai loro Paesi. E non considererei affatto un’eresia se anche l’Italia riflettesse bene prima di chiedere fino all’ultimo euro i prestiti europei.


«Non sarebbe un’eresia riflettere a fondo prima di chiedere fino all’ultimo euro i prestiti europei»

E invece come valuta l’atteggiamento dei governi di Polonia e Ungheria?
Il vizio sta nel manico, cioè nel diritto di veto che ogni Paese ha su troppe decisioni importanti. Purtroppo, per cambiare il manico (i Trattati europei) ed estirpare il vizio (il potere di veto), occorre l’accordo unanime degli Stati. Data questa cappa di piombo, trovo però che il Consiglio della Ue, grazie all’autorità e alla forza mediatrice di Angela Merkel che l’ha presieduto, sia riuscito a fare passi avanti importanti.

Tornando in Italia, cosa pensa dei soli 9 miliardi di spesa per la sanità ipotizzati nel Pnrr? Non sarebbe opportuno investire di più nel sistema ospedaliero?
Sì, ne sono assolutamente convinto. Qualcuno legge nella modestia di questi 9 miliardi il segno dell’intenzione del governo, per ora non dichiarata, di ricorrere all’altro strumento ad hoc, il Mes sanitario, per coprire la parte maggiore del fabbisogno.

Urge un upgrade della pubblica amministrazione?
Il Piano deve essere l’occasione per ridare un’adeguata circolazione corporea alla pubblica amministrazione, anche con un’ampia immissione di giovani motivati. Se invece la si lascia incancrenire, e si ricorre per il Pnrr alla circolazione extracorporea di strutture tecniche a volte efficienti ma con differenti missioni istituzionali, vi è un triplice rischio: di snaturare queste stesse strutture tecniche; di portare decisioni di rilievo politico al di fuori del circuito della legittimità democratica (governo–Parlamento); e infine di dare l’idea che un grande Paese europeo possa diventare grande, e restare europeo, senza una Pa degna di questo nome.

In Senato lei ha detto che «occorre anche stimolare la concorrenza e combattere le rendite di posizione». Con quali strumenti?
L’Autorità Antitrust ha il potere, che talora esercita, di rivolgere pubbliche raccomandazioni al governo, al Parlamento, alle Regioni affinché riconsiderino molti vincoli legislativi o amministrativi che frenano la concorrenza, senza conseguire altre apprezzabili finalità. Potrebbe accrescere questa sua attività. Inoltre, è chiaro che se nella gestione del Pnrr si desse un ruolo chiave, come era parso, ai vertici delle imprese pubbliche, ciò non stimolerebbe concorrenza e competitività, favorirebbe piuttosto i conflitti di interesse.

In un intervento sul Corriere della Sera, lei ha detto di ritenere possibile, per contrastare la pandemia e i suoi effetti sull’economia del Paese, una «forma leggera di unità nazionale». Ritiene fattibile un esecutivo di larghe intese, visti gli attuali contrasti fra le forze politiche perfino nella stessa maggioranza?
Due settimane dopo quel mio articolo, una prima manifestazione di “unità nazionale in forma leggera” ha preso corpo: alla Camera e al Senato il voto per autorizzare lo scostamento di bilancio è stato quasi unanime. Certo, in Italia è più facile trovare largo consenso quando si tratta di aumentare (in questo caso per motivi giustificati) il disavanzo. Più difficile è trovarlo su decisioni impopolari. Questo però avvenne, per merito di tutti i partiti (ad eccezione della Lega) nel 2011–2012 e così venne evitato il fallimento dello Stato. Una prova di “unità nazionale”, costosa politicamente per ciascuno ma, credo, nell’interesse generale mi piacerebbe vederla in questi giorni, con un consenso unanime in Parlamento a un provvedimento impopolare di lockdown durante le feste. È quando c’è un sacrificio in termini di popolarità a vantaggio del bene del Paese e dei cittadini, che la politica prende valore e merita rispetto.

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