mercoledì 14 dicembre 2016
La scuola, il rilancio del Sud e l’occupazione restano prioritari
L'Italia che non può aspettare
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La «Buona scuola», sia per chi la ritiene tale sia per chi l’ha contestata, necessita dei decreti che la rendano pienamente operativa, altrimenti si sarebbe soltanto perso tempo e un comparto essenziale come quello dell’istruzione rimarrebbe senza punti di riferimento. Allo stesso modo rischiano di restare in sospeso, in seguito al risultato referendario, alcuni aspetti della riforma del lavoro (o Jobs act), sulla quale pendono per altro anche le richieste di consultazione popolare avanzate dalla Cgil. Poi c’è l’eterna questione italiana, ovvero il Mezzogiorno che, in un lungo periodo di crisi economica come quello che stiamo ancora vivendo, è sempre più staccato da un Nord pure in difficoltà. Ecco, siamo partiti da queste considerazioni per illustrare altri tre capitoli (dopo gli otto che abbiamo presentato ieri) che il nuovo governo guidato da Paolo Gentiloni non può assolutamente trascurare. L’inizio è apparso incoraggiante, con il ritorno di un ministro dedicato espressamente al Sud, aggiunto a quella Coesione territoriale di cui tanto c’è bisogno. Il resto lo racconteranno le cronache dei prossimi mesi. Perché, per quanto un esecutivo possa nascere con aspettative «brevi », ha verso il Paese il dovere di mantenere una prospettiva ampia. (D.Pao.)

ISTRUZIONE La riforma è da attuare. E molti punti da chiarire
È un’eredità ricca di dossier ancora da chiudere quella che Stefania Giannini lascia nelle mani di Valeria Fedeli, nuovo ministro dell’Istruzione. E per alcuni di questi temi (vedi il capitolo decreti attuativi) le risposte devono arrivare in tempi brevi: gennaio 2017. Vediamo i dossier più caldi sul tavolo.
La Buona scuola e i decreti attuativi. La legge 107/2015 è un tema delicato. Il fronte delle proteste è stato - ed è - ampio, ma nonostante qualche aggiustamenti in corsa, sono ormai in scadenza ben 9 decreti attuativi, che servono per dare vita alle novità introdotte dalla legge stessa. Tra queste deleghe vi è quella relativa al sistema integrato 0-6 per nidi e scuole dell’infanzia, passaggio delicato in un sistema che per metà è formato da scuole paritarie. Non meno importante la delega sulla riforma della valutazione e degli esami di Stato nei vari ordini di scuola (terza media e maturità, per intenderci): allo studio la scomparsa del voto alle elementari e l’introduzione della valutazione con le lettere. Così come il sistema della formazione tecnica e professionale, tutt’altro che marginale anche per lottare contro la dispersione scolastica.

La parità. La legge di Stabilità 2017 per la prima volta non solo ha confermato i 500 milioni del capitolo di spesa ad hoc, ma ha anche introdotto novità sul fronte di fondi per le materne, per il sostegno ai disabili, sulle detrazioni delle spese scolastiche delle famiglie. Crisi e voto di fiducia al Senato sulla Stabilità hanno, però, impedito di migliorare il capitolo come era nell’intenzione della maggioranza.


Le linee guida sul comma 16. Questione delicatissima, su cui, a dire il vero, fino ad ora si è tirato per le lunghe tra annunci e assicurazioni costantemente disattese. Si tratta delle linee guida che devono far chiarezza sull’applicazione delle norme contro qualsiasi discriminazione nella scuola, compresa quella per l’orientamento sessuale. Annunciate per luglio scorso, poi rinviate di poche settimane, sono ancora oggi un oggetto oscuro per le associazioni dei genitori impegnate nella scuola, che chiedono chiarezza, trasparenza e rispetto del loro ruolo nel delicato campo dell’educazione all’affettività. Un tema sul quale il neo ministro Fedeli si è più volte espressa come parlamentare, presentando anche un disegno di legge (poi ritirato) sull’«introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università», nel quale all’articolo 2 si parla di includere «i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, (...) delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, (...) della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale».


Mobilità e concorsi. La legge 107 ha portato in cattedra come docenti di ruolo decine di migliaia di precari, creando, però, diversi problemi sulla loro assegnazione, a volte anche fuori dalla regione di residenza. È in corso un confronto con i sindacati per apportare modifiche, come il trasformare l’organico «di fatto» in «di diritto». E anche la fase concorsuale avviata nei mesi scorsi deve essere conclusa. E si tratta di far partire le operazioni per il concorso per i nuovi dirigenti scolastici per assegnare a ogni istituto un preside stabile.

Il contratto. Concluso a livello di pubblico impiego l’accordo per il rinnovo del contratto nazionale, resta ora da declinarlo nel settore della scuola, anche perché, secondo la legge 107, gli aumenti sono legati alla produttività e al merito dei docenti. Ma è ancora in alto mare un accordo sui criteri in base ai quali assegnare questi aumenti premiali.

Le reazioni. Il fronte sindacale ha molte aspettative verso questo neo ministro che da quel mondo proviene. Negativa la reazione del Comitato «Difendiamo i nostri figli», il cui presidente Massimo Gandolfini definisce questa nomina come «una offesa la popolo del Family day». Dai genitori della scuola cattolica, Agesc, arriva, attraverso il suo presidente Roberto Gontero, l’augurio che il ministro voglia lavorare per «garantire la libertà di scelta delle famiglie». Apertura da parte del Forum delle famiglie, che attraverso la responsabile del settore scuola Maria Grazia Colombo rinnova al ministro «la nostra disponibilità a collaborare con le istituzioni da genitori impegnati e attenti alla questione educativa e formativa dei nostri figli» perché «la scuola è e deve essere luogo di incontro e di alleanze non per omologare ma per valorizzare le diversità di ognuno». (Enrico Lenzi)

MEZZOGIORNO Sbloccare i fondi europei ora è la prima urgenza
Quando ha formato il suo governo, nel febbraio del 2014, Matteo Renzi non ha previsto un ministro alla Coesione territoriale, come invece avevano fatto prima di lui Enrico Letta (che si era affidato a Carlo Trigilia), Mario Monti (il ministro era Fabrizio Barca) e Silvio Berlusconi (con Raffaele Fitto) e ha affidato la delega a un sottosegretario, Claudio De Vincenti. A Bruxelles qualche funzionario europeo rimase interdetto. Possibile – si chiedevano negli uffici della Commissione – che l’Italia, secondo beneficiario dopo la Polonia dei fondi europei per la politica di coesione nella programmazione 2014-2020, possa fare a meno di un ministro che, tradizionalmente, è il primo interlocutore della Commissione?

Infatti non poteva. A ottobre di quest’anno, tracciando un primo bilancio, fonti europee spiegavano che dopo più di un anno e mezzo dall’approvazione dei programmi regionali e nazionali per il 2014-2020 il nostro Paese non era riuscito a sbloccare l’accesso ai fondi europei Fesr e Fse. Dei trenta programmi concordati nessuno aveva completato le procedure previste, cioè la designazione delle autorità di gestione, di certificazione e di controllo necessarie ad andare avanti con il finanziamento. Così anche se l’Europa ha circa 31 miliardi di euro da spendere per creare crescita e occupazione in Italia dalla Commissione non è arrivato ancora nemmeno un centesimo. Una situazione paradossale. La Commissione aveva cambiato le regole, rispetto alla programmazione precedente, per agevolare gli Stati: la procedura di convalida e designazione passava dalla Ue al singolo Stato, snellendo la procedura. L’Italia però si è fatta trovare impreparata e si è arrivati a questo stallo. «La situazione dell’Italia è una delle peggiori, se non la peggiore in Europa» spiegavano a Bruxelles, facendo notare come la Polonia, che ha diritto a 70 miliardi, in questo anno e mezzo abbia chiuso 20 piani su 21.


Quando dalla Commissione fecero filtrare le loro perplessità De Vincenti assicurò che tutto era sotto controllo, solo che il «barocco iter burocratico» europeo stava rallentando le procedure. Ora che è stato promosso ministro "assieme" alla sua delega toccherà a lui fare accelerare questa macchina, che ha al centro l’Agenzia per la coesione territoriale, creata nel 2013. Una gestione efficiente dei fondi europei è decisiva per spingere la ripresa del Sud, che ha cinque Regioni (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) «meno sviluppate» secondo i criteri europei, cioè con un Pil pro capite inferiore al 75% della media europea. Più del ritorno di un ministero per il Mezzogiorno dopo 23 anni ,dunque, è il ritorno di quello per la Coesione sociale dopo quasi tre anni che può dare in tempi rapidi una forte spinta alla ripresa del Sud e, con lei, a quella dell’Italia. (Pietro Saccò)

LAVORO Il nodo politiche attive e le competenze spezzate
Il premier Paolo Gentiloni ieri ha indicato il lavoro come la priorità delle priorità nell’azione del nuovo esecutivo. Si tratterà di un impegno molto articolato per il governo. Da un lato c’è da completare il cammino del Jobs act per quanto riguarda le politiche attive e il lavoro autonomo mentre ci sarà da monitorare l’andamento dell’occupazione a fronte della (quasi) scomparsa degli sgravi contributivi, che hanno sostenuto i contratti stabili almeno nel 2015, a partire dal prossimo gennaio. In arrivo anche il pronunciamento della Corte costituzionale sui tre referendum abrogativi chiesti dalla Cgil (su licenziamenti, voucher e codice degli appalti), sentenza che potrebbe aprire la strada (se non ci saranno elezioni anticipate) a una consultazione in primavera su temi di forte impatto sociale.

La bocciatura della riforma costituzionale al referendum del 4 dicembre ha come corollario anche il depotenziamento di una parte del Jobs act, quella che riguarda il ricollocamento e le politiche attive del lavoro: un compito che nel nuovo quadro istituzionale doveva essere centralizzato e gestito dall’Anpal (la neonata Agenzia nazionale guidata da Maurizio Del Conte). Ma il Titolo V della Costituzione non è stato modificato e le Regioni mantengono le loro competenze, rendendo più difficile attuazione la riforma dei servizi per l’impiego e ridimensionando i poteri dell’Anpal. Andrà così chiarito il destino dei 550 Centri per l’impiego, che contano circa 7mila operatori e che dalle vecchie Province erano stati presi in carico dalle Regioni. L’Anpal avrebbe dovuto gestire il personale dei Centri con il compito di uniformare e accentrare gli interventi, migliorando gli standard dei livelli essenziali di servizio. In questo quadro va definita anche la sperimentazione dell’assegno di ricollocazione, che dovrebbe diventare la prima misura nazionale di politica attiva. Uno strumento già concordato con le Regioni ma sul quale non è escluso che ora possano essere presentati ricorsi. Nel 2017 arriverà poi al traguardo la riforma degli ammortizzatori sociali, un passaggio che desta preoccupazioni nei sindacati, soprattutto per la fine dell’assegno di mobilità sostituito, anche per chi è colpito da licenziamenti collettivi conseguenti alle crisi aziendali, dalla Naspi, il nuovo ma meno generoso sostegno universale per la disoccupazione.


Va poi completato l’iter legislativo del disegno di legge sul lavoro autonomo non imprenditoriale e sul cosiddetto «lavoro agile», cioè sulle prestazioni di lavoro subordinato ma senza precisi vincoli di orario o di sede. Un pacchetto approvato dal Senato lo scorso ottobre e che deve passare ora alla Camera. Per quanto riguarda gli autonomi prevede il riconoscimento di diritti come il congedo di paternità, un’indennità di maternità anche continuando a lavorare, tutela per il ritardo nei pagamenti. Diventano inoltre deducibili al 100% le spese per l’iscrizione a master, corsi di formazione o di aggiornamento, di iscrizione a convegni e congressi (fino a 10mila euro l’anno); vengono poi sospesi i contributi in caso di malattia o di infortunio. Si tratta di tematiche legate anche a quel «disagio del ceto medio» al quale ieri Gentiloni ha promesso di dare risposte con l’azione di governo.


Temi come l’abolizione dei voucher, il ripristino dell’articolo 18 sui licenziamenti e le responsabilità delle imprese appaltatrici torneranno infine al centro del dibattito politico se la Consulta darà il via libera ai tre quesiti presentati dalla Cgil. In tal caso il governo dovrà decidere se e come mettere mano alle diverse normative. (Nicola Pini)

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