mercoledì 21 luglio 2010
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Con le nuove modifiche, il ddl sulle intercettazioni «non risolve nulla. Anzi, lascia tutto com’è». Mastica amaro, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, alla notizia dell’accordo di maggioranza sul contrastato ddl. Una legge ormai del tutto inutile, si sfoga il premier, che continuerà a permettere «lo scandalo assoluto di un privato che, senza aver commesso reati, può venire registrato e con il rischio di vedere poi le sue conversazioni su un giornale, con un peso completamente diverso visto che basta tagliare una frase». E che quindi «non lascerà agli italiani la libertà di parlare al telefono». Con la triste conseguenza che «l’Italia non sarà un Paese davvero civile come per esempio la democraticissima Inghilterra dove le intercettazioni telefoniche non possono essere portate come prova nei processi».Il Cavaliere dall’intera vicenda ne ricava una ulteriore lezione che porta acqua alla sua tesi di sempre. Ovvero che «il difetto della nostra democrazia» sta  «in un’architettura costituzionale che non è in grado di produrre interventi di ammodernamento e democraticizzazione del nostro Paese». E nello strapotere di «certi signori della magistratura di sinistra» che impugnano le leggi «davanti alla Corte Costituzionale, composta a sua volta da undici giudici di sinistra», che le abroga. In modo che «il popolo non conta più niente, perché il potere è passato a un ordine dello Stato che non è democratico». Da qui una promessa: «Ma noi cercheremo di fare qualcosa». L’amarezza, il senso di impotenza, la protesta a voce alta del premier, stride un bel po’ con i commenti dei suoi fedelissimi. Se Berlusconi boccia senza appello le nuove modifiche presentate da un suo ministro, il fedelissimo Angelino Alfano, il suo legale di fiducia e braccio destro per la politica giudiziaria, Niccolò Ghedini, parla invece del nuovo testo come di «una eccellente sintesi di un lungo e complesso lavoro del governo, del Senato e della Camera, che garantirà una buona legge a tutela dei cittadini». E il ministro Alfano, invece di godersi gli elogi che gli tributa l’intero Pdl, è costretto - dopo la reprimenda del capo - ad ammettere a denti stretti che «il contenuto del ddl intercettazioni, così come delineato dagli emendamenti fino ad oggi presentati in Commissione Giustizia, è senz’altro meno ambizioso rispetto a quanto previsto nel nostro programma di governo». Anche se, quasi si giustifica, «il testo odierno sulle intercettazioni è l’unico punto di arrivo attualmente possibile al fine di conciliare diritto alla privacy, diritto di cronaca ed efficienza delle indagini, stante l’attuale situazione parlamentare ed istituzionale». Ovvero, tenendo conto sia della rumorosa presenza dei finiani, che dei poteri del capo dello Stato e della Corte Costituzionale. Si tratta ora di capire la reale portata dello sfogo del capo del governo sulla vita del provvedimento. Se esso, in sostanza, è solo un modo per prendere le distanze, di dire all’elettorato "avrei voluto fare di più, ma me lo hanno impedito", oppure una sconfessione vera e propria dell’operato del suo governo; e se prelude o meno a una tentazione che a Palazzo Grazioli aleggiava da tempo: fare finire l’ormai «inutile» ddl su un binario morto.(G. Gra.)
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