giovedì 21 marzo 2019
Ancora una denuncia da Medici senza frontiere che chiede alle autorità libiche e alla comunità internazionale di affrontare al più presto le inumane condizioni dei centri di detenzione di Tripoli
(Foto di archivio MSF)

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Le sofferenze dei centri di detenzione per migranti in Libia sono note ma ora Medici senza frontiere (Msf) ha pubblicato un rapporto che documenta nel dettaglio un loro aspetto: la carenza di cibo e la malnutrizione anche gravissima che colpisce soprattutto i bambini.
Testimonianze che confermano quanto hanno dichiarato alcuni migranti salvati da Mediterranea, i quali hanno raccontato di aver visto morire almeno 50 persone per torture e fame nei centri di detenzione libici.
Il caso investigato da Msf preso in esame la prigione di Sabaa, uno dei sette centri di detenzione di Tripoli gestiti da una divisione del ministero dell'Interno libico, quindi non da trafficanti fuori da ogni monitoraggio ma una struttura ufficiale periodicamente ispezionata anche da organizzazioni internazionali. Il centro infatti è uno dei cinque a cui dottori di Msf hanno accesso almeno una volta a settimana.

Nonostante sia esposto ai controlli, i deficit nella gestione delle persone sono preoccupanti. A Sabaa sono rinchiuse al momento più di 300 persone - per la maggior parte eritrei ma anche sudanesi, nigeriani, camerunensi e ghanesi - di cui circa un terzo sono bambini e ragazzi sotto i 18 anni. Più della metà dei detenuti ci vivono da almeno sei mesi.
L'aspetto "più preoccupante" rilevato dal rapporto Msf è la presenza di "malnutrizione gravemente acuta" nel 2% dei migranti: una quota che sale al 3% fra i bambini. "Allarmante" è anche la malnutrizione definita "moderatamente acuta": 5% con un picco del 9%, quasi uno su dieci, fra i piccoli.
Nel complesso un quarto (24%) dei detenuti del centro sono sottopeso. Il dato è relativo a febbraio ma la stima di Msf è che i nuovi arrivati hanno più probabilità di diventare gravemente o almeno moderatamente malnutriti rispetto a chi è già a Sabaa.
La rilevazione si inquadra in un contesto formato da circa 670 rifugiati, migranti e richiedenti asilo che si trovano in Libia secondo una stima dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), ricorda il rapporto. "Questa popolazione è regolarmente esposta ad abusi dei diritti umani inclusi estorsione, tortura e altri maltrattamenti, violenza sessuale, sfruttamento e lavoro forzato", sostiene il rapporto citando varie fonti.

"Per la prima volta in questi giorni il governo italiano ha scritto nero su bianco che la Libia rappresenta un porto sicuro. Ma le leggi internazionali e marittime, numerosi rapporti delle Nazioni Unite, e quanto testimoniano ogni giorno i nostri medici nei centri di detenzione in Libia, affermano esattamente il contrario, mostrando un quadro atroce di detenzione arbitraria, violenze, torture ed estorsioni", dice Marco Bertotto, responsabile advocacy di Medici Senza Frontiere.
Si calcola che più di 5.700 di questi stranieri siano detenuti nei centri di detenzione (Dc) del Direttorato per la lotta alla migrazione illegale (Dcim) del dicastero dell'Interno (stima Onu). Msf riferisce che in questi centri le sue squadre "osservano regolarmente una carenza di strutture di base come bagni, coperture, elettricità, luce, riscaldamento e adeguata ventilazione".
"Gravemente limitate" sarebbero anche l'accesso a spazi all'aperto e la fornitura di servizi basilari: in particolare il "cibo, per quantità e qualità, è povero o inconsistente in molti Dc", centri di detenzione.
“Di fronte a tutto questo l’Europa e l’Italia si ostinano a mettere muri e a rispedire le persone in quelle inaccettabili condizioni, dove nemmeno un bisogno essenziale come il cibo sembra essere garantito - insiste Bertotto - . Serve al più presto un meccanismo europeo che rispetti il diritto internazionale, gli obblighi del soccorso in mare e soprattutto la dignità, i bisogni e la vita di chi fugge. Oggi l’unica soluzione offerta ai migranti dalle politiche europee è la Libia, ma la Libia non può in alcun modo essere una soluzione".

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