sabato 13 aprile 2019
Il premier Conte apre un «gabinetto di crisi» a Palazzo Chigi. E telefona a Merkel, per rafforzare l’asse Ue sul dialogo. A Tripoli proteste contro Haftar e la Francia, che smentisce un sostegno
La cabina di regia del governo sulla Libia
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È durato un’ora, ieri, il vertice a Palazzo Chigi sulla Libia fra il premier Giuseppe Conte e i ministri di Esteri e Difesa, Enzo Moavero Milanesi ed Elisabetta Trenta. I tre, dopo un briefing con l’intelligence per aggiornamenti sulla situazione, si sono confrontati sulle eventuali prospettive. Nessuna decisione di peso per ora è stata presa (e ciò spiega l’assenza di ieri dei due "azionisti" dell’esecutivo, i vicepremier di M5s e Lega Luigi Di Maio e Matteo Salvini), ma il «gabinetto di crisi», come lo definiscono fonti di governo, resterà attivo finché la situazione di conflitto non sarà rientrata.

Asse Conte-Merkel

Ieri il premier italiano ha avuto un colloquio telefonico con la cancelliera tedesca Angela Merkel. E non è escluso che in queste ore senta altri leader internazionali. Sempre ieri, il ministro degli Esteri Moavero Milanesi ha avuto una riunione alla Farnesina con l’ambasciatore degli Usa Lewis Eisenberg. La linea dell’esecutivo resta ancorata alla ricerca di un dialogo fra il generale Khalifa Haftar e il premier di Tripoli Fayez al Serraj: una «soluzione politica», caldeggiata dall’Ue e dal G7, che scongiuri il rischio di una guerra civile e che avvenga sotto l’egida dell’Onu (la cui mediazione in Libia però al momento appare indebolita).

Lega: Parigi ambigua. Irritazione M5s

Secondo alcune fonti, nella componente pentastellata del governo permarrebbe un velo di irritazione per le schermaglie con la Francia del ministro dell’Interno Salvini (preoccupato da un eventuale aumento dei flussi migratori in piena campagna elettorale europea), perché non faciliterebbero la saldatura di un fronte comune europeo. Ieri il vicepremier non è tornato sul punto, ma lo ha fatto il sottosegretario agli Esteri leghista Gugliemo Picchi: «Le ambiguità della Francia sulla Libia sono inaccettabili – ha twittato –. Le nostre capacità diplomatiche sono cruciali per un cessate il fuoco. Credo che una visita del nostro ministro degli Esteri sul campo in Libia, per incontrare Haftar, potrebbe essere decisiva per fermare l’escalation militare». Nel frattempo l’ambasciata italiana in Libia resta aperta, col personale diplomatico e militare vigile e operativo.

L’analisi dell’intelligence

Gli ultimi segnali dal «teatro» vengono valutati dal governo. Da un lato, indicano l’aumento della pressione esercitata dall’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar: dall’incursione aerea di ieri a Zuwara fino all’ordine d’arresto emesso dal procuratore militare del «Lna» a carico del premier Serraj, del vicepremier Omar Maitig e altri esponenti del governo di Tripoli. Ma c’è un altro dato su cui il governo Conte riflette: non c’è stata per ora l’avanzata trionfale che Haftar immaginava. Le proteste di piazza, ieri a Tripoli, contro il generale e contro la Francia, sommate allo stallo sul territorio paradossalmente rafforzano un po’ l’immagine di Serraj (in precedenza ritenuto "debole" e a rischio di essere accantonato in poco tempo). Serraj, peraltro, è sostenuto anche dalla fazione di Misurata, terzo attore nella crisi libica.

Longa manus francese?

C’è chi continua a ipotizzare una "manina" francese dietro l’accelerata del generale. La settimana scorsa, scrive la Repubblica un aereo Falcon avrebbe trasportato a Parigi una delegazione ristretta di inviati del generale Haftar, con l’intento di ottenere il consenso della Francia all’attacco. Lo stesso aereo poi, lunedì, avrebbe portato a Roma gli inviati del generale per un colloquio riservato col premier Conte su una possibile tregua. Ma da Parigi, fonti diplomatiche negano con decisione: «Non siamo mai stati avvisati di un’offensiva su Tripoli, che abbiamo condannato sin dal suo inizio – afferma un portavoce del ministero degli Esteri francese –. Come i nostri partner, parliamo con tutte le parti del conflitto in Libia, al fine di ottenere un cessate il fuoco». Visti gli interessi in ballo, nel risiko libico, le manine straniere potrebbero essere diverse: secondo il Wall Street Journal, l’Arabia saudita avrebbe promesso di pagare decine di milioni di dollari «per contribuire a finanziare l’operazione» di Haftar.

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