venerdì 31 agosto 2018
Oltre 400 persone erano state abbandonate nel centro di Ain Zara gestito dal Governo di intesa nazionale a causa della guerra tra milizie rivali: 27 morti e 100 feriti negli ultimi tre giorni
Continua a salire il bilancio degli scontri scoppiati domenica a Tripoli e nei dintorni

Continua a salire il bilancio degli scontri scoppiati domenica a Tripoli e nei dintorni

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E' salito a 27 morti, tra cui 15 civili, e a oltre100 feriti il bilancio di sangue degli scontri fra milizie avvenuti a Tripoli da lunedì. Lo riferisce un tweet dell’emittente libica Al Ahrar citando l’Ospedale da campo della capitale. Centinaia di migranti sono stati trasferiti dai centri di detenzione governativi di Tripoli, dopo essere rimasti intrappolati negli ultimi giorni nell’area a sud della capitale libica teatro delle tensioni tra milizie rivali. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), i migranti sono stati trasferiti da due centri di detenzione situati nell’area di Ain Zara, a sud-est di Tripoli, in un «luogo più sicuro ». Nel Canale di Sicilia, intanto, anche Open Arms ha deciso di allontanarsi dalle acque libiche a causa della «criminalizzazione delle Ong», di fatto azzerando la presenza di navi di soccorso delle organizzazioni umanitarie.

A Tripoli tra i feriti registrati durante lo scambio di raffiche, 51 sono civili. Il sito dell’emittente libica ha riferito inoltre che sarebbe stato concordato un cessate il fuoco, sebbene la situazione di «relativa calma» è frequentemente interrotta da «spari intermittenti ». La maggior parte delle vittime, sostiene il governo, sono civili rimasti intrappolati nei quartieri dove si è combattuto anche casa per casa. Molti sono morti a causa di ustioni o ferite gravi.

La Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) «condanna l’escalation di violenza» a Tripoli e nei dintorni della capitale libica, chiedendo in una nota «l’immediato cessate il fuoco su tutti i fronti». Unsmil ha anche smentito le insistenti «voci su qualsiasi ruolo in qualsiasi azione militare», ribadendo che «gli obiettivi politici non vanno perseguiti con la violenza » e insistendo sulla «cruciale importanza della protezione dei civili ».

Riguardo gli scontri a Tripoli, la nota diffusa da Unsmil sottolinea come l’inviato Onu Ghassan Salamé abbia contattato le parti interessate per «una cessazione immediata di tutte le ostilità, per la ripresa dei colloqui sul cessate il fuoco e l’individuazione di soluzioni di lungo periodo per garantire la sicurezza della capitale, delle sue istituzioni e dei suoi abitanti». «Profonda preoccupazione» arriva da Italia, Francia, Regno Unito e Stati Uniti per quello che sta succedendo a Tripoli e nei dintorni della capitale libica. Una dichiarazione congiunta di ambasciatori e incaricati d’affari dei quattro Paesi denuncia come gli scontri stiano «destabilizzando la situazione e mettendo in pericolo le vite di civili innocenti » e aggiunge: «Coloro che compromettono la pace, la sicurezza e la stabilità della Libia ne renderanno conto».

«È inaccettabile e assolutamente contrario alla volontà del popolo libico qualsiasi tentativo di compromettere la sicurezza della Libia – si legge – La comunità internazionale sta monitorando da vicino la situazione». I quattro Paesi lanciano quindi un monito contro un’ulteriore escalation e fanno appello «a tutte le parti affinché lavorino insieme» dando prova di moderazione per «ripristinare la calma» e partecipare a un «dialogo pacifico».

Roma, Parigi, Londra e Washington, confermano quindi l’appoggio all’inviato Onu per la Libia, Ghassan Salamé, impegnato per «facilitare il dialogo a sostegno di una Libia unita, sicura e prospera». «Perseguire obiettivi politici con la violenza - mette in guardia la dichiarazione - porterà solo a esacerbare le sofferenze della popolazione della Libia e si rischia una più grave instabilità». La missione delle Nazioni Unite è impegnata con le sue agenzie a seguire la situazione umanitaria, assicurando sostegno «dove possibile ».

Le Nazioni Unite ricordano a «tutte le parti i loro obblighi per la protezione dei civili» e «condanna la violenza in tutte le sue forme». Una delle conseguenze dirette dei regolamenti di conti tra milizie che pure si dichiarano fedeli al governo riconosciuto del presidente al-Serraj, è la pressione sui migranti, sia quelli detenuti nei centri governativi che quelli in attesa di poter proseguire l’odissea verso l’Europa. Acnur ha fatto sapere che il trasferimento degli stranieri rimasti bloccati nei centri ufficiali è avvenuto «in coordinamento con altre agenzie e con il Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (Dcim)». In particolare oltre 400 persone erano state abbandonate nel centro di detenzione.

Le guardie erano scappate all’esplodere degli scontri, abbandonando i profughi per tre giorni nelle gabbie senza più cibo ne acqua né la possibilità di poter evadere. Tra i migranti presenti, tutti cittadini eritrei, si contavano 200 uomini, 200 donne e 20 almeno bambini sotto i cinque anni di età. Nel Canale di Sicilia, intanto, si riduce al minimo la presenza di navi di soccorso delle organizzazioni non governative. L’ong spagnola Proactiva Open Arms ha annunciato la sospensione delle sue missioni di soccorso di migranti a largo della Libia, nel Mediterraneo centrale, denunciando la «criminalizzazione delle Ong».

In una nota, si riferisce che nelle prossime settimane gli interventi di salvataggio si concentreranno nello Stretto di Gibiliterra e nel Mare di Alboran, che separa Marocco e Spagna, dove il flusso dei barchini è considerevolmente cresciuto dopo che i trafficanti hanno operato nuove rotte per aggirare la Libia. Open Arms ha denunciato «politiche disumane che hanno causato non solo la chiusura dei porti d’Italia e Malta ma anche la paralisi di numerose organizzazioni umanitarie e l’aumento dei flussi migratori verso il sud della Spagna».

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