giovedì 23 febbraio 2012
A un anno dalla lettera per il Milleproroghe del 2010 inviata alle Camere e rimasta inascoltata il capo dello Stato torna a intervenire sul decreto 2011, ricordando che se in sede di promulgazione gli è impedita l’abrogazione parziale, una recente sentenza della Consulta ha deciso in tal senso e il rischio può ripresentarsi.
Liberalizzazioni, paralisi totale in Senato
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Nell’atmosfera un po’ rilassata delle Camere fa irruzione il monito di Giorgio Napolitano. Una vera e propria bacchettata, anzi. Per richiamare tutti sul fatto che, anche se sono rimasti inascoltati i suoi precedenti inviti a non infilare argomenti fuori tema nei decreti "omnibus" - approfittando dell’impossibilità per il Capo dello Stato di bocciare parzialmente una norma - c’è ora una sentenza della Corte Costituzionale che invece tale potere lo ha e intende riservarselo.Il Milleproroghe era già finito nel mirino del Quirinale che si era visto costretto, per non far mancare il via libera alla necessaria proroga di misure effettivamente urgenti, a far passare anche disposizioni che tali non erano. Ed ecco la lettera inviata ai presidenti delle Camere e al presidente del Consiglio Mario Monti, letta in aula da Gianfranco Fini. «Come è noto - ricorda Napolitano - la Corte Costituzionale, con sentenza depositata il 16 febbraio scorso, ha per la prima volta annullato disposizioni inserite in un decreto-legge nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione». Oggetto era proprio il decreto-legge di fine anno (il cosiddetto "milleproroghe"), bocciato parzialmente per «estraneità alla materia e alle finalità del medesimo», facendo riferimento al procedimento per la conversione in legge previsto dall’articolo 77 della Costituzione, che prevede «un oggetto ben definito», e «tempi circoscritti e predeterminati e, conseguentemente, richiede una rigorosa delimitazione degli eventuali emendamenti».Napolitano ricorda la lettera già inviata giusto un anno fa ai Presidenti delle Camere nella quale, inascoltato, lamentava «la difficoltà di esercitare la facoltà di rinvio prevista dall’articolo 74 della Costituzione». E ricorda anche le analoghe considerazioni fatte da Ciampi nel messaggio alle Camere del 29 marzo 2002. La forzatura poi si è ripetuta «in occasione del recente decreto-legge "milleproroghe" del 29 dicembre 2011 - lamenta ancora Napolitano - quando sono stati ammessi e approvati emendamenti che hanno introdotto disposizioni in nessun modo ricollegabili alle specifiche proroghe contenute nel decreto-legge, e neppure alla finalità indicata di garantire l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa». Disposizioni che se ritenute davvero necessarie e urgenti avrebbero potuto avere, semmai, una «più corretta collocazione in un distinto apposito decreto-legge».Ed ecco il punto: «Come è noto, il Capo dello Stato non dispone di un potere di rinvio parziale dei disegni di legge». Ma la Consulta sì. E Napolitano si appella alla «leale collaborazione istituzionale» per evitare il «rischio di annullamento da parte della Corte costituzionale».«Bene Napolitano», è l’unico commento ufficiale, da parte di Italia dei valori. Che con il capogruppo al Senato Felice Belisario fa sue le argomentazioni del Quirinale. Dal Pd invece affiorano mugugni a mezza voce captati in Transatlantico: «Ma così ora i decreti saranno inemendabili, a partire dalle liberalizzazioni», si commentava in un crocchio di cui erano parte Dario Franceschini e Massimo D’Alema. Un timore e un auspicio insieme, visto che era stato proprio il segretario Pier Luigi Bersani a lamentare con Napolitano il rischio di annacquamento, da parte del Pdl, sulle liberalizzazioni.
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